PA digitale, missione burocrazia "amica" per la smart city

PA digitale, missione burocrazia “amica” per la smart city

L’obiettivo della città smart è strettamente connesso con quello della PA digitale. Idealmente, anziché “combattere” con la burocrazia, nella smart city le persone ricevono rapidamente risposte utili alle loro esigenze da una Pubblica amministrazione “amica”. Come? Con le piattaforme tecnologiche, l’interoperabilità dei dati, l’identità digitale, le applicazioni come SPID, lo sportello digitale unico (che renderà uniforme l’accesso ai servizi digitali in tutto i Paesi dell’Ue), e altri strumenti ancora descritti sul portale PA Digitale 2026 del Dipartimento per la Trasformazione Digitale.

Le città italiane si sono già mosse verso la digitalizzazione dei servizi pubblici, con 26 Comuni capoluogo già virtuosi, secondo quanto indica il rapporto ICity Rank 2022 di FPA. Ma gli italiani – amministratori, imprese, individui – sono pronti a digitalizzarsi?

A che punto è la PA digitale nelle città italiane

ICity Rank di FPA, pubblicato a novembre dello scorso anno, rileva, nei 108 Comuni capoluogo esaminati, una crescita del tasso di digitalizzazione: la copertura di servizi online è passata dal 41% nel 2019 all’82% (con 75 amministrazioni che hanno portato online almeno 8 servizi sui 10 monitorati). I servizi accessibili tramite SPID sono saliti dal 39% del 2020 al 71% del 2022.

L’indice di trasformazione digitale dei Comuni è ottenuto in questo studio come media aritmetica di otto indici settoriali – servizi online, canali social, piattaforme abilitanti, open data, apertura, WiFi pubblico, app municipali e IoT – e premia Firenze, Milano e, al terzo posto a pari merito, Bergamo, Bologna, Cremona, Modena, Roma Capitale e Trento come le città più smart d’Italia. Ma, in generale, si assiste a una decisa accelerazione nel livello medio di digitalizzazione, che accorcia le distanze dal vertice. A fronte di 26 città molto digitali, 75 sono in crescita e solo 7 sono a un livello di digitalizzazione ancora insufficiente.

Lo stimolo del PNRR 

I fondi del PNRR sono chiamati a dare slancio a questa crescita. Il 27% del piano è dedicato alla transizione digitale e la digitalizzazione della PA è uno degli assi portanti, con una dotazione di circa 6,7 miliardi di euro.

Digitalizzare la PA significa che la Pubblica amministrazione deve diventare “alleata” di cittadini e imprese, con un’offerta di servizi sempre più efficienti e facilmente accessibili.

Gli strumenti con cui il Piano intende raggiungere questo obiettivo sono molteplici. Da un lato, va costruita una “infrastruttura digitale” – per esempio, si portano documenti e servizi sul cloud, in modo da snellire le operazioni quotidiane (anche per i dipendenti pubblici). Dall’altro, si attuano principi fondamentali come l’interoperabilità tra gli enti pubblici e il “once only”, secondo cui, a tendere, tutte le PA dovranno dialogare tra loro, anziché funzionare ciascuna separatamente. Cittadini e imprese non dovranno ogni volta comunicare le stesse informazioni già fornite: se le ha una PA le hanno automaticamente tutte.

Un altro insieme di misure riguarda i servizi agli utenti finali: le pratiche burocratiche, i pagamenti, le richieste di informazioni, la verifica della propria identità si possono e si devono poter fare anche solo con un’app sullo smartphone.

Le competenze per una smart city accessibile 

Tutti i servizi della PA digitale dovranno essere accessibili e fruibili in modo facile e veloce. Accessibilità vuol dire anche inclusione e qui, forse, risiede la sfida più grande. Non solo bisogna disegnare i servizi online in modo che siano utilizzabili da tutti, ma occorre che le persone utilizzino i servizi. E, per questo, dovremo acquisire più competenze da cittadini digitali.

Il recente sondaggio dell’Istat non offre dati incoraggianti: nel 2021 poco meno della metà delle persone di 16-74 anni residente in Italia ha competenze digitali almeno di base (45,7%), un dato che ci colloca  al quartultimo posto nella graduatoria dell’Ue 27 (dove la media è del 53,9%).

Cinque i domini esaminati in cui siamo chiamati a far meglio: “alfabetizzazione all’informazione e ai dati”, “comunicazione e collaborazione”, “creazione di contenuti digitali”, “sicurezza” e “risoluzione dei problemi”. In questi cinque campi il target europeo è che l’80% della popolazione possieda competenze di base nel 2030. Per raggiungerlo l’Italia dovrà far registrare un incremento medio annuo di 3,8 punti percentuali.

Una vera corsa in cui il governo cercherà di dare una spinta con la Rete dei facilitatori digitali – un’altra iniziativa del PNRR che prevede la creazione di 3.000 punti di formazione per accrescere le competenze e l’inclusione digitale di oltre 2 milioni di cittadini entro il 2026.

Patrizia Licata