CoHousing: quando l’unione fa la forza

CoHousing: quando l’unione fa la forza

Parliamo di co-residenza: una soluzione ai problemi abitativi che presenta aspetti positivi sia per gli anziani, sia per i giovani fuori sede

Pochi giorni fa, esattamente il 17 ottobre scorso, si è tenuta a Roma la prima festa del cohousing, “Tanti cuori e una capanna”, a Casa Rocco in zona Ponte di Nona, una delle cinque residenze condivise per anziani della Capitale. Ma cosa significa vivere in co-residenza? Spesso si tratta di un’alternativa agli istituti di lungodegenza o RSA, tuttavia questa è una visione decisamente riduttiva dell’idea di cohousing. Condividere l’esperienza abitativa può, infatti, trasformarsi in una opportunità per migliorare non solo la qualità di vita di diverse categorie sociali, ma anche di riqualificare spazi urbani ormai degradati o in totale abbandono.

Nuovo modello abitativo

La ‘visione’ alla base del cohousing è rappresentata dall’autonomia in accordo con la condivisione. L’allungamento dell’aspettativa di vita non sempre si accompagna a capacità cognitive compatibili con il vivere da soli. Allo stesso tempo, la solitudine accelera processi come depressione, perdita della memoria, mancanza di movimento e cattive abitudini alimentari. Da qui il valore aggiunto della co-residenza: la casa è il ‘focus’ del concetto di cohousing, perché identifica uno spazio conosciuto, rassicurante e con un sufficiente livello di privacy; a questo però si aggiungono servizi in condivisione che consentono l’interazione sociale, indispensabile per restare ‘socialmente vivi’. Inoltre, la co-residenza può diventare un nuovo modello abitativo da estendere ad altre categorie che non riescono ad accedere al tradizionale mercato immobiliare: genitori single e monoreddito, famiglie in difficoltà, studenti e lavoratori fuori sede per tempi più o meno lunghi.

Come funziona

Potremmo definire la co-residenza una particolare forma di vicinato: tanti piccoli alloggi privati ai quali si affiancano ampi spazi comuni per le attività condivisibili. A seconda della dimensione del progetto, si va da spazi come il soggiorno, il giardino, la lavanderia, a strutture che prevedono palestra, sala musica, laboratori per hobbistica, orto e area gioco per i bambini. Un aspetto fondamentale nel cohousing è la ‘progettazione partecipata’, ovvero l’interazione tra i progettisti e i futuri residenti (di solito non più di 40) in modo da stabilire le priorità e soddisfare le esigenze di ciascuno. Ovviamente, per raggiungere quest’ultimo obiettivo senza incorrere in una ingestibile Babele, è indispensabile la figura di uno o più “facilitatori” che facciano da moderatori per far confluire le istanze dei vari cohouser in un risultato armonico ed efficace.

Dove nasce il Cohousing

Il primo esempio di residenza condivisa è il “Bofællesskab” (in danese, comunità vivente) e risale al 1964 su progetto dell’architetto  Jan Gødman-Høyer. Dalla Danimarca, poi, il fenomeno si è diffuso nel Nord Europa per raggiungere dieci anni dopo gli Stati Uniti. Il termine “Cohousing” è stato invece coniato negli anni ‘80 da due architetti americani, Kathryn McCamant e Charles Durrett, durante un percorso di studi all’Università di Copenhagen.

I vantaggi

  • Antidoto alla solitudine – La frammentazione dell’abitato comporta una condizione di isolamento devastante per gli anziani; al contrario, nel cohousing essi possono trovare nuove relazioni con persone affini per età e interessi.
  • Risparmio economico – L’uso condiviso di alcuni servizi abbatte i costi di gestione, a partire da quello energetico.
  • Sostegno alle famiglie – La consapevolezza che l’anziano non sia completamente solo, ma inserito in un ambiente stimolante e accogliente riequilibra i rapporti familiari, spesso minati da sentimenti negativi: senso di colpa, insofferenza, sentirsi di peso.
  • Miglioramento dello stile di vita – Sentirsi protetti e al tempo stesso autosufficienti in spazi ben serviti, favorisce il movimento e l’autostima con ricadute positive sulla salute fisica e mentale.
  • Contrasto della povertà – Le forme solidali di abitazione hanno costi più accessibili del normale mercato immobiliare e consentono anche la coabitazione a persone che lo ritengono preferibile al vivere da soli.
  • Riqualificazione urbana – Che si tratti di strutture preesistenti in stato di abbandono, di beni sequestrate alla malavita o di nuove costruzioni, i progetti di cohousing hanno il vantaggio di riqualificare aree altrimenti destinate al degrado.
  • Opportunità di lavoro – Una residenza condivisa nasce da un grande lavoro di squadra che prevede la collaborazione di architetti, maestranze, psicologi e personale socio sanitario. Gestiti spesso da Cooperative e Onlus con finanziamenti pubblici, oltre a rappresentare un nuovo modello abitativo, i progetti di cohousing generano occupazione per diverse figure professionali.

I punti deboli

  • Inadatto a chi non è autosufficiente Il modello di cohousing prevede una partecipazione attiva degli abitanti, resta quindi non adatto agli anziani in condizioni psicofisiche di fragilità e che richiedono assistenza costante.
  • Cambiamenti imprevisti nei co-houser – Può capitare che la salute di uno o più residenti cambi improvvisamente con ricadute sull’aspetto cognitivo e comportamentale, rendendo difficile o impossibile la convivenza.
  • Mancato rispetto delle regole – Questo spetto non si differenzia da quanto a volte accade in un condominio di tipo tradizionale. Sicuramente inaccettabile, può essere gestito dalla figura del facilitatore, se presente oltre la fase progettuale.
  • Rifiuto di condividere le spese – Come sopra. Se il mancato contributo non deriva da reali difficoltà economiche ma è sistematico, comporta un intervento che varierà se l’inadempiente è proprietario o affittuario dell’unità in cui risiede.

Le realtà italiane

Il numero completo delle strutture, tra già attive e in fase di progettazione nella Penisola non è quantificabile con precisione, in quanto manca un elenco nazionale dei cohousing. Al momento, le residenze condivise dovrebbero essere 42, dislocate tra nord e centro Italia (molte in Emilia Romagna), mentre anche al sud qualcosa si sta muovendo.

Per i giovani c’è il Co-Living

Si tratta di condomini progettati tenendo conto delle esigenze di chi, lavorando o studiando fuori sede, cerca una soluzione dai costi abbordabili. Ai normali appartamenti con tutta la privacy desiderata, si aggiungono spazi comuni come la lavanderia, i parcheggi e un’area di co-working che consente di condividere la spesa della connessione WI-FI.

Evelina Mastrolorenzi