Enti locali, come stanno cambiando

Enti locali, come stanno cambiando

La fuga dagli enti locali – prescindendo dai ruoli esercitati – è finalmente balzata agli onori della cronaca,  vi sono delle soluzioni all’orizzonte? Il Governo ci prova. 

Enti locali nel calderone delle riforme

Nell’ultimo periodo l’attività legislativa è stata fortemente rinvigorita sotto molteplici aspetti, alcuni anche abbastanza controversi nella loro messa a terra.

Viene da ripensare, in prima battuta, all’idea di normare il femminicidio come reato autonomo.

Questo ha provocando una levata di scudi da parte dell’universo legale e accademico, in forza dell’art. 3 della Costituzione, a fronte di una concreta difficoltà di individuare la fattispecie.

Si continua, poi, con il passaggio, tra le Camere parlamentari, del disegno di legge sull’Intelligenza Artificiale, il quale aveva subito una battuta di arresto, seppur “accompagnato” dalla “aurea” della concomitante presidenza italiana del G7 e dall’essere il primo disegno normativo sul tema in UE, e non solo.

Infine, i provvedimenti sul comparto sicurezza e difesa (d.l. Sicurezza e riforma FF.PP) che, però, non hanno minimamente interessato l’universo delle polizie locali.

In questo contesto, il mondo del lavoro viene pervaso da statistiche positive sull’occupazione,  ma anche da distoniche realtà sull’universo dei dipendenti pubblici.

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Misure a favore del pubblico impiego

In questo caso il Governo avanza lungo – almeno – due direttrici:

  • da un lato, il cercare di favorire, con un mutamento della leadership,  quindi della governance, scatti di carriera più uniformi e ponderati nell’intero comparto;
  • dall’altro, professionalizzare il comparto stesso, con introduzione di nuove figure tecniche.

Andando per ordine, però; tutto ciò è realizzabile e ha un ritorno positivo ed effettivo per la PA? “Ni”, potrebbe essere la risposta ideale.

Intanto è del 13 marzo scorso la notizia, dalla Funzione Pubblica, che – come accennato – da il via libera al disegno di legge in materia di valutazione della performance e sviluppo di carriera. 

Il disegno di legge apre alla possibilità di creare una struttura a “obiettivi”. Dove la componente esperienziale andrebbe a premiare un possibile avanzamento del personale.

Posto che questo ha acceso vari dibattiti, anche sulle modalità concorsuali, il problema rimane il cogliere il merito.

La componente multimodale del “merito effettivo” di un dipendente (ndr.) potrebbe, forse, emergere da esperienza + titoli + prove pratiche, almeno rispetto a contenuti meramente “nozionistici” e – sostanzialmente – di breve durata (ricorso a test a risposta multipla, anche a esami universitari).

Certamente, la differenza sarà la messa a terra del disegno di legge.

…ma, tutto efficace, sicuro?

Circa la formazione del personale, molto si è spinto sull’iniziativa “PA 110 e lode“, che vede coinvolte varie Università aderenti.

Capita sovente che i corsi proposti con tali modalità non riscuotano il successo sperato dal dato Ateneo, specie se trattasi – solitamente – di percorsi post-universitari (Master I e II liv.)

Spiegandosi meglio: l’aspirante studente si iscrive al corso, lo stesso vedrà l’attivarsi della “clausola PA 110 e lode”, al raggiungimento di un minimo di iscritti; spesso questo “quid soglia” non viene raggiunto, e quindi? Lo studente potrà ugualmente conseguire il titolo ma con una differente esposizione economica, magari grazie a convenzioni con la propria Amministrazione e – sicuramente – di valore minore. Si consideri che il trend può essere invertito con le lauree, dove però gli studenti debbono garantire il conseguimento di un certo numero di CFU annui.

Conseguenza di tutto questo? Sostanzialmente un successo calmierato/a macchia di leopardo, dell’iniziativa governativa targata 2022, mentre, di contro, molto più profittevoli possono apparire le singole convenzioni attivate da Enti/sindacati di categoria con le Università telematiche.

Ma tutto ciò riconduce al tema della retribuzione del dipendente pubblico e dell’ente locale, in particolare.

Zangrillo: “al lavoro con il MEF per gli stipendi negli Enti Locali”

Intanto, il Ministro Zangrillo, sollecitato anche più volte da ANCI, promette un interessamento mirato sugli Enti locali.

La problematica del rapporto stipendi/responsabilità, tra gli uffici delle Amministrazioni centrali ed enti locali influenza anche l’appetibilità dell’impiego negli stessi Comuni.

Conseguenza è la ripercussione sugli organici, perché “la diaspora interna nella PA”, dagli Enti locali verso i dicasteri o il mondo privato, viene originato anche da questo scarto.

Nei giorni scorsi una fotografia del particolare momento viene resa dal rapporto redatto dalla Fondazione IFEL.

Nei prossimi sette anni vengono stimati 10.000 unità in pensione e 15.000 in trasferimento/dimissione, negli enti locali.

Nel 2023 il saldo tra immissione nel ruolo e dimissioni/trasferimento è stato “quasi pari”: 29.275 vs 28.973 e, nel 2024, il personale in servizio nei comuni è cresciuto fino a 343.500 unità.

Attenzione,  anche se ovvie operazioni di maquillage potrebbero ricondurre tale dato a un incremento del reclutamento,  questo – in realtà – è frutto della stabilizzazione di LSU, specie nel meridione e nelle isole.

I problemi degli Enti locali sono di duplice natura, quindi: vincoli di bilancio, che farebbe da pastoie anche alle progressioni di carriera (siano esse esperienziali o canoniche) e stipendi più bassi rispetto alla rimanente PA.

Dei criteri, finanche selettivi, bassi, per individuare una possibile nuova dirigenza, potrebbero aiutare un comparto che già ora soffre di gap stipendiali rilevanti e che abbia una struttura contrattuale/gestionale non pienamente compresa dal legislatore?

Il gap stipendiale è richiamato anche dal Presidente di ARAN, durante audizione istituzionale.

È del tutto evidente che il comparto degli enti locali continua a essere svantaggiato, non avendo mai beneficiato di risorse aggiuntive e specifiche, con un livello retributivo inferiore rispetto agli altri settori.

Negli ultimi dieci anni la differenza è di circa 170 euro medie mensili rispetto alle funzioni centrali.

Tale situazione sta comportando negli ultimi anni una fuga dei dipendenti dagli enti locali verso le amministrazioni centrali.

ARAN suggerisce:

Sarebbe necessario, quanto meno, un intervento che agisca sul superamento del tetto per il trattamento accessorio previsto dall’articolo 23, comma 2, del d.lgs n. 75/2017, al fine di consentire agli enti locali di avere una maggiore possibilità di integrare il trattamento accessorio dei propri dipendenti. Questo intervento porterebbe a una maggiore equità retributiva tra comparti e contribuirebbe a trattenere professionalità qualificate presso gli enti locali.

Si attende, quindi, la risposta di Zangrillo alle criticità esposte.

Alle stesse si aggiunge la necessità di una contrattazione ad hoc per la polizia locale, altrimenti non considerata in provvedimenti dedicati al comparto sicurezza.

Silvestro Marascio