HumanX Panopticon del palcoscenico, come la tecnologia riscrive i confini della privacy e della vergogna a.renzetti 21 July 2025 Panopticon del palcoscenico. Kiss Cam e il prezzo della fama imprevista: quando l’amore illecito incontra la tecnologia globalizzata Kiss Cam e dintorni Immaginate la scena: luci soffuse, l’energia elettrizzante di un concerto dei Coldplay e una Kiss Cam che, come un occhio onnipresente, vaga tra la folla in cerca di baci da immortalare. Quella che dovrebbe essere una parentesi privata si è trasformata, per una coppia, in un incubo digitale virale. Non un bacio d’amore, ma il lampo di un’infedeltà esposta senza filtri al mondo intero. Questo episodio, avvenuto a Boston, solleva questioni profonde e complesse sui rischi della tecnologia globalizzata, sulla delicata tutela della privacy nell’era digitale, e sui devastanti risvolti psicologici che tali eventi possono avere sui protagonisti e sulle loro famiglie. La tecnologia come spada a doppio taglio: dalla Panopticon di Bentham al “Panopticon diffuso” L’episodio della Kiss Cam è un esempio lampante di come la tecnologia, pur offrendo innumerevoli benefici in termini di connettività e intrattenimento, possa diventare anche un’arma a doppio taglio. Le telecamere ad alta definizione, la diffusione istantanea tramite social media e la cultura della condivisione senza limiti hanno creato un ecosistema in cui ogni nostro gesto, anche il più intimo, può essere catturato e amplificato. Panopticon Questo scenario evoca la figura del Panopticon di Jeremy Bentham, una prigione ideale in cui i detenuti sono costantemente visibili a un unico sorvegliante, pur non sapendo se siano effettivamente osservati in ogni momento. La paura di essere visti li induce a un’autodisciplina costante. Nell’era digitale, tuttavia, non abbiamo un solo sorvegliante ma un “Panopticon diffuso”: siamo potenzialmente visibili a chiunque, in qualsiasi momento, e da molteplici angolazioni. La Kiss Cam, nata come innocuo strumento di intrattenimento da stadio, è diventata involontariamente un micro-agente di questo Panopticon diffuso. Non è più la paura di un’autorità centrale a indurre conformità, ma il timore della riprovazione sociale globalizzata. La facilità con cui immagini della propria vita privata diventano fenomeni virali è disarmante, e la capacità di rimuoverli è quasi nulla una volta che sono stati immessi nel circolo della rete, rendendo il “diritto all’oblio” una chimera digitale. Le ferite invisibili: impatto psicologico e familiare e l’effetto “farfalla digitale” Le conseguenze psicologiche per i protagonisti di una vicenda simile sono devastanti. Immaginate il trauma di vedere la propria vita intima smascherata e giudicata da un pubblico globale. Il senso di vergogna, l’umiliazione, l’ansia e la depressione sono reazioni prevedibili. La pressione sociale, i commenti online, spesso carichi di odio e giudizio, e la consapevolezza che il proprio errore è diventato un meme o un caso di studio per milioni di sconosciuti possono portare a gravi problemi di salute mentale. Ma l’onda d’urto non si ferma ai diretti interessati. Le famiglie sono le prime vittime collaterali. Il partner tradito affronta non solo il dolore del tradimento, ma anche l’umiliazione pubblica, la distruzione della fiducia e l’imbarazzo sociale. I figli, se presenti, possono essere esposti a bullismo, scherno e alla difficile gestione di una crisi familiare che si svolge sotto gli occhi di tutti. La reputazione sociale, il lavoro e la stabilità emotiva di intere famiglie possono essere irrimediabilmente compromessi. Questo incidente è un esempio lampante dell’ “effetto farfalla digitale”: un semplice evento, da un bacio innocente a un’infedeltà esposta in pubblico, può generare un’onda d’urto mediatica che si propaga a macchia d’olio, alterando drasticamente le vite di persone lontane, in modi imprevedibili e irreversibili. Non è più solo il battito d’ali di una farfalla in Brasile a causare un tornado in Texas, ma un’immagine catturata in un concerto a Boston che può scatenare un uragano emotivo dall’altra parte del mondo. La catena della diffusione: chi ha acceso la miccia virale? La domanda su chi abbia diffuso le immagini della Kiss Cam è cruciale per comprendere la dinamica della viralità e le responsabilità in gioco. Le immagini originali della Kiss Cam vengono catturate e mostrate sui maxischermi dello stadio o dell’arena dall’organizzazione dell’evento o da una produzione esterna da loro ingaggiata. Questo è il primo livello di “diffusione”, sebbene limitato al pubblico presente. Nel caso specifico, le ricerche indicano che un’utente di TikTok ha postato il video, affermando di essere stata presente e di aver trovato la scena “la cosa più divertente che abbia mai vissuto”. La diffusione delle immagini in questo episodio è un esempio paradigmatico del “crowdsourcing” della viralità, dove non c’è un unico ente o persona responsabile, ma una molteplicità di attori (dall’organizzazione dell’evento ai singoli utenti e alle piattaforme) che contribuiscono, ognuno a suo modo, a trasformare un momento privato in uno spettacolo pubblico globale. La morale collettiva nell’era del dito facile Più che di leggi sulla privacy, complesse da armonizzare a livello globale, dovremmo parlare di una morale collettiva nell’era del dito facile. Ci siamo abituati a consumare contenuti altrui con una leggerezza sorprendente. Dobbiamo chiederci: qual è il nostro ruolo, come spettatori e come condivisori, nel perpetuare la sofferenza altrui? Il “click” ha sostituito il “penso” e la viralità ha preso il posto della riflessione. Dovremmo coltivare un maggiore senso di empatia quando navighiamo online, ricordando che ogni schermo nasconde una persona e che le parole e le immagini hanno un peso reale. Forse dovremmo chiederci, prima di condividere, se vorremmo mai essere noi i protagonisti inconsapevoli di una storia virale. Oltre il gossip La storia della coppia sorpresa dalla Kiss Cam al concerto dei Coldplay a Boston è molto più di un semplice pettegolezzo. È una parabola moderna che ci costringe a confrontarci con le sfide etiche, sociali e psicologiche di un’esistenza sempre più mediata e globalizzata. Come possiamo bilanciare la libertà di espressione e l’innovazione tecnologica con la necessità impellente di proteggere la dignità e la privacy dell’individuo? E come possiamo insegnare alla nostra società digitale a vedere senza distruggere? Forse la vera soluzione risiede nel cambiamento culturale: dobbiamo imparare a sviluppare una “empatia algoritmica”. Se gli algoritmi che ci circondano sono sempre più sofisticati, dovremmo aspirare a che essi incorporino non solo logiche di engagement, ma anche principi etici e di rispetto della dignità umana, incentivando interazioni costruttive anziché la polarizzazione o la gogna. Antonella Renzetti