Il paradosso del Dossier Viminale, l'Italia del "Codice Rosso" non protegge abbastanza le sue donne

Il paradosso del Dossier Viminale, l’Italia del “Codice Rosso” non protegge abbastanza le sue donne

Codice Rosso e femminicidi. Il Dossier Viminale, pubblicato come ogni anno a Ferragosto, dipinge un quadro agrodolce dell’Italia nei primi sette mesi del 2025.

Se da un lato i dati mostrano un calo complessivo dei reati, dall’altro emerge un paradosso inquietante.

Infatti, mentre la società sembra più pronta a denunciare, il sistema fatica ancora a prevenire l’esito più tragico della violenza di genere.

L’analisi dei numeri ci costringe a guardare oltre le statistiche e a confrontarci con le lacune strutturali che rendono la sicurezza delle donne un’illusione, non una certezza.

La rivoluzione silenziosa: più denunce, più consapevolezza

I numeri raccontano una storia a due facce.

Da un lato, il forte aumento degli ammonimenti del Questore, cresciuti del 70,6% (di cui 2.731 per stalking e 4.840 per violenza domestica) non è un fallimento ma un segnale di speranza.

Indica che il muro del silenzio si sta finalmente sgretolando: le donne si sentono più sicure a chiedere aiuto, spingendo il sistema di protezione ad attivarsi prima che sia troppo tardi.

È la prova di una rivoluzione culturale in atto, dove la sensibilizzazione e le campagne informative stanno rendendo la denuncia non più un’eccezione, ma un atto di coraggio e di fiducia.

Il fallimento del sistema: il caso La Spezia e la fragile illusione della sicurezza

Tuttavia, l’ottimismo si infrange di fronte all’aumento dei femminicidi commessi da partner o ex partner, cresciuti del 15,1%.

Questo dato è la prova drammatica che il sistema, pur intervenendo più spesso, non riesce a prevenire l’atto più estremo.

Questa tragica verità è stata messa a nudo da un recente e doloroso fatto di cronaca, il femminicidio a La Spezia.

Una donna è stata uccisa nonostante il suo aggressore fosse sottoposto alla misura cautelare del divieto di avvicinamento e indossasse un braccialetto elettronico.

Questo tragico evento svela la fragilità di un sistema che, in teoria, dovrebbe essere infallibile.

Il braccialetto elettronico, un sofisticato sistema a tre componenti (il dispositivo indossato dall’aggressore, un ricevitore in possesso della vittima e un terzo dispositivo collegato alla centrale operativa delle forze dell’ordine), ha dimostrato i suoi limiti: un malfunzionamento tecnico, non risolto in tempo, ha reso la vittima vulnerabile.

La distanza inadeguata e la privacy che non salva

La criticità non è solo tecnologica, ma anche normativa e concettuale.

In Italia, la distanza minima di sicurezza fissata per il divieto di avvicinamento è spesso di soli 500 metri.

In un contesto urbano, questa soglia è insufficiente e rappresenta una distanza di assalto, non di protezione.

La vittima e le forze dell’ordine hanno un tempo di reazione pressoché nullo.

Il confronto con la legislazione di altri paesi è impietoso.

In Francia, ad esempio, la distanza di divieto è di 1 km, con un preallarme che scatta a 2 km, offrendo un margine di tempo cruciale per trovare un riparo e per consentire un intervento efficace della polizia.

Un’ulteriore e gravissima lacuna del sistema italiano riguarda la privacy.

Nonostante l’articolo 11 della Convenzione di Istanbul (ratificata dall’Italia nel 2013) ribadisca l’importanza della raccolta dati per la sicurezza delle donne e il dovere degli Stati di proteggerle, la posizione dell’aggressore non può essere comunicata alla donna, privandola di un’informazione vitale.

E sebbene la Corte Costituzionale abbia più volte ribadito che i diritti individuali, come quello alla privacy, non sono assoluti e possono essere limitati se in gioco ci sono interessi pubblici o diritti fondamentali di un’altra persona, come il diritto alla vita e all’incolumità personale, l’applicazione pratica non riflette ancora questo principio.

La sicurezza della vittima, di fatto, resta subordinata a un’interpretazione restrittiva della legge.

La strada da percorrere: oltre la Legge, verso una cultura della prevenzione

Il Dossier Viminale 2025 non deve essere celebrato come un successo, ma analizzato come un monito.

La strada verso un’effettiva protezione delle donne richiede un approccio integrato che vada oltre la mera applicazione di leggi come il “Codice Rosso” o l’adozione di tecnologie fallibili.

Dobbiamo pretendere:

  • Revisione normativa: distanze di sicurezza adeguate e sistemi di preallarme per garantire un tempo di reazione utile.
  • Investimento nella formazione: le forze dell’ordine devono essere costantemente aggiornate e preparate a gestire ogni segnalazione con la massima urgenza.
  • Priorità alla sicurezza: l’interesse della vittima non può essere subordinato a cavilli tecnici o a interpretazioni restrittive della privacy.

L’Italia si trova a un bivio.

Possiamo continuare a credere in una sicurezza illusoria, oppure possiamo affrontare di petto la cruda realtà dei femminicidi e ammettere che il nostro sistema di protezione è ancora tragicamente imperfetto.

La vita di ogni donna non può dipendere dalla stabilità di un segnale satellitare, ma deve essere protetta da un sistema che non fallisca mai.

Antonella Renzetti