HumanX Legal Tech La tecnologia come testimone inconfutabile, un caso di maltrattamento minorile a.renzetti 07 September 2025 Italia La tecnologia è sempre più pervasiva in tutti gli ambiti, e anche nella giustizia, e con enormi vantaggi. In un’aula di tribunale, la giustizia si scontra spesso con l’incertezza, con le parole che combattono le parole e la memoria che sbiadisce. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30123 depositata il 2 settembre 2025, ha messo la parola fine a una vicenda di abusi. Anche elevando la tecnologia al ruolo di testimone inconfutabile. La pronuncia, che conferma la condanna di due maestri d’infanzia per maltrattamenti aggravati, è un documento che va ben oltre la cronaca giudiziaria. Rappresenta, infatti, un’analisi profonda che illumina il volto invisibile del trauma infantile e lo sancisce come una realtà innegabile. L’intenzione non regge alla prova La difesa degli imputati ha tentato di navigare in quella zona grigia del diritto che confonde l’eccesso con l’intenzione criminale, cercando di riqualificare i maltrattamenti in un “abuso dei mezzi di correzione” (art. 571 c.p.). Ma la Cassazione ha tracciato una linea netta e inequivocabile. La Corte ha statuito che, mentre l’art. 571 c.p. (Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina) presuppone l’eccesso nell’uso di mezzi che di per sé sono leciti, la violenza, sia essa fisica o psicologica, non rientra mai in tale categoria. L’uso della forza, della minaccia e dell’umiliazione non è un errore di giudizio, ma un reato che mina l’essenza stessa del ruolo educativo. La sentenza dichiara che l’abitualità dei maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) si configura non per il numero di giorni in cui avvengono, ma per il clima di costante paura e sopraffazione che creano. Un principio che eleva la tutela del benessere psicologico a norma inderogabile. La decisione della Corte, di rendere l’intenzione soggettiva degli imputati del tutto irrilevante di fronte alla realtà oggettiva della violenza immortalata dalle telecamere, sposta il focus dal “perché” all’implacabile “cosa è stato fatto”. Ciò segna un passaggio cruciale nel diritto penale. La giustificazione non può esistere dove la prova è assoluta. La prova visiva del testimone inconfutabile In sede di ricorso, la difesa aveva cercato di sminuire l’attendibilità delle testimonianze dei bambini, sostenendo che le loro dichiarazioni fossero state influenzate dalla risonanza mediatica e dai genitori. Le riprese video, però, hanno reso irrilevante ogni dubbio sulla veridicità delle loro parole. Hanno fatto ciò che nessun interrogatorio o perizia psicologica avrebbe potuto fare con la stessa forza: hanno offerto una lente implacabile, capace di mostrare il vero volto della violenza e le sue conseguenze. Il video non è solo uno strumento che documenta un reato, ma è il ponte che connette il mondo interiore e invisibile del trauma infantile con le esigenze di oggettività del sistema legale. La sofferenza dei bambini non è stata raccontata solo attraverso le loro parole, ma è stata mostrata nella sua cruda e innegabile realtà. La tecnologia ha squarciato il velo dell’invisibilità che spesso ha protetto gli abusi, fornendo alla giustizia un “testimone” che non dimentica, non esagera e non si lascia condizionare. LEGGI ANCHE Il teatro della giustizia. Quando la denuncia diventa spettacolo Il “trauma vicario” e la perdita di fiducia La sentenza raggiunge l’apice della sua sensibilità giuridica e psicologica nel confermare il concetto di maltrattamento assistito, già chiarito in sede d’appello a favore di alcune piccole vittime. La Cassazione ha accolto il ricorso del padre di una bambina, cui in appello era stato negato il risarcimento del danno. Si ribadisce, quindi, che un minore che assiste a episodi di violenza subita da altri è una persona offesa dal reato. Questo principio consolida la rete di protezione della giustizia, riconoscendo che l’impatto psicologico della violenza non si limita alle vittime dirette. La sentenza non si ferma alla punizione del reato. Si sposa una visione olistica del trauma, ribadendo il fenomeno del trauma vicario, ovvero quel profondo cambiamento emotivo e psicologico che si verifica in un individuo a seguito dell’esposizione ravvicinata al trauma altrui. La bambina, a cui la Cassazione ha riconosciuto il diritto al risarcimento, non ha subito un danno solo per la sua presenza fisica, ma per l’impotenza emotiva e per l’angoscia che ha assorbito passivamente. L’esposizione a un contesto di violenza in un luogo che avrebbe dovuto essere sinonimo di sicurezza ha minato il suo senso di fiducia nel mondo degli adulti. Un danno profondo che la sentenza riconosce e tutela. In questo modo, il riconoscimento legale della sua sofferenza è il primo passo per validare il suo dolore. Un’affermazione cruciale che le dice: “ciò che hai visto era sbagliato, il tuo dolore è reale e la giustizia è dalla tua parte”. Questo verdetto, di fatto, rappresenta un potente monito per l’intero sistema educativo. LEGGI ANCHE Mobile Angel, smartwatch che protegge le donne a Bari La tecnologia a servizio della giustizia Si sottolinea che l’investimento in tecnologia, come la videosorveglianza, deve essere accompagnato da un investimento ben più significativo nella formazione psicologica e in una selezione rigorosa degli educatori. Ciò affinché non si debba ricorrere alle telecamere per scoprire un abuso che non avrebbe mai dovuto esistere. La tecnologia è un mezzo per la giustizia, ma la vera prevenzione risiede nell’umano. Antonella Renzetti