HumanX Il paradosso della solitudine nell’era della connessione Laura Biarella 14 September 2025 Nell’era dell’iperconnessione la solitudine sembra aver trovato un nuovo abito. Le smart city promettono interazioni fluide, servizi personalizzati e una rete sociale potenziata dalla tecnologia. Eppure, mai come nell’attualità, ci sentiamo soli. L’epidemia silenziosa del XXI secolo Viviamo immersi in notifiche, messaggi, “mi piace” e update continui. Le piattaforme digitali offrono centinaia di “amici” e infinite possibilità di interazione. Sotto questa superficie iperconnessa si cela una realtà inquietante, cioè molte persone si sentono invisibili, non ascoltate, emotivamente disconnesse. La solitudine non è solamente un disagio emotivo. È un fattore di rischio per la salute paragonabile al fumo o all’abuso di alcol. Per l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la solitudine è responsabile di oltre 871.000 morti all’anno nel mondo. Una survey condotta in 140 paesi ha rivelato che quasi un quarto della popolazione mondiale si sente “molto” o “abbastanza” sola. In Europa il primo sondaggio EU-LS ha mostrato che 13% dei cittadini europei si sente solo “la maggior parte o tutto il tempo”, mentre 35% si sente solo almeno occasionalmente. In Italia, secondo Eurispes, la solitudine è in crescita soprattutto tra i giovani e gli anziani, con un aumento significativo dopo la pandemia. L’intimità digitale I social media, progettati per massimizzare l’engagement, spesso offrono interazioni brevi e performative. Il “like” è diventato la moneta emotiva, ma raramente si traduce in una vera comprensione. La cultura della comparazione, alimentata da vite curate e filtrate, genera insicurezza e senso di inadeguatezza. Negli Stati Uniti il 31% degli adulti è online quasi costantemente, e tra gli adolescenti, il 95% impiega i social media quotidianamente, con una media di 4,8 ore al giorno. L’utilizzo intensivo dei social media è correlato all’implementazione della percezione di isolamento. Gli adolescenti che impiegano social per più di due ore al giorno hanno il doppio delle probabilità di sentirsi isolati rispetto a chi li usa meno di 30 minuti. Compagnia artificiale Chatbot, partner virtuali e “amici” AI stanno diventando sempre più sofisticati. Offrono ascolto, risposte empatiche e affetto simulato. Per chi soffre di ansia sociale o ha vissuto relazioni traumatiche, queste entità possono rappresentare un rifugio sicuro. Ma l’intimità vera si fonda su vulnerabilità condivisa, reciprocità e imprevedibilità, elementi che nemmeno l’algoritmo più avanzato può replicare. Il rischio? Che la dipendenza da relazioni artificiali rafforzi l’evitamento delle connessioni reali, così aggravando l’isolamento. Ritrovare il senso della connessione: il ruolo della psicologia Una risposta concreta arriva dalla Acceptance and Commitment Therapy (ACT), una forma moderna di terapia cognitivo-comportamentale. ACT non cerca di eliminare le emozioni difficili, ma insegna ad accettarle e a vivere secondo i propri valori. Accettazione del disagio: le relazioni umane sono complesse. ACT aiuta a tollerare l’ansia che ne deriva. Chiarezza dei valori: ci invita a riscoprire ciò che conta davvero, quindi amore, amicizia, comunità. Azione impegnata: ci incoraggia a fare passi concreti verso relazioni significative. Mindfulness: ci aiuta a essere presenti, a cogliere le sfumature dell’interazione umana. Connessioni autentiche Le smart city non devono solamente ottimizzare il traffico o digitalizzare i servizi. Devono anche promuovere ambienti che favoriscano incontri autentici. L’OMS propone sei strategie per combattere la solitudine: Rafforzare infrastrutture sociali (parchi, biblioteche, centri comunitari). Promuovere politiche pubbliche che incentivino la connessione. Affrontare gli impatti sanitari della solitudine. Valutare criticamente il rapporto con la tecnologia. Educare alla consapevolezza emotiva e sociale. Coltivare una cultura della connessione a livello individuale e collettivo. La challenge è adoperare la tecnologia per avvicinare gli individui, non per isolarli. Affinché nessun algoritmo potrà mai sostituire il calore di uno sguardo, la forza di un abbraccio, e neppure la bellezza di una conversazione sincera.