Politiche ambientali Città "15 minuti" e perdita di libertà e identità Angela Iacovetti 29 October 2025 Sostenibilità Nel modello del “cronourbanismo” ideato da Carlos Moreno, basato sulla città dei 15 minuti, dove tutte le esigenze quotidiane sono raggiungibili a piedi o in bici entro un quarto d’ora, si rilevano benefici quali sostenibilità e qualità della vita, ma anche criticità legate a controllo sociale, disuguaglianze e impatti culturali. Una città a misura d’Uomo Chi, andando in centro per commissioni e penando per trovare un parcheggio, non ha pensato: “Potessi avere (il luogo dove sto andando) vicino casa! Andrei a piedi!”? Bene. Un urbanista professore alla Sorbona, Carlos Moreno, ha ideato un modello di città dove lavoro, scuola, negozi, servizi sanitari, svago e cultura siano raggiungibili in 15 minuti a piedi o, al massimo, in bicicletta. Moreno ha parlato, a questo proposito, di cronourbanismo: la città non è più pensata solo in termini di distanza spaziale, ma di tempo di accesso a quanto necessario. Tale modello ridurrebbe traffico e inquinamento e riporterebbe ad una vita più sostenibile, anche più salutare, poiché aumenterebbe la mobilità attiva, come pedalare e camminare; una vita di quartiere, in sintesi, più lenta e di qualità, in cui assume un ruolo importante la socialità locale. La diversificazione delle attività economiche locali, inoltre, renderebbe le comunità più resistenti a crisi economiche: le piccole imprese locali potrebbero continuare a guadagnare, in un quartiere dove i residenti fanno la spesa e utilizzano servizi nelle vicinanze. Una gabbia dorata? Ma accanto a questo entusiasmante ideale è sorta una posizione critica che pone l’accento sul rischio che la cosiddetta città 15 minuti si trasformi in una gabbia dorata, dove il progresso ecologista finisce per essere un modo di controllo che limita la libertà individuale. Inoltre, una città 15 minuti implica forti ingerenze delle autorità, che decidono dove si debbano collocare negozi, servizi e infrastrutture limitando, così, le scelte individuali; ancora: l’operatività della città di prossimità richiede l’Internet delle cose (sensori, telecamere, intelligenza artificiale, tracciamento) tutte misure di controllo, al limite tra l’utilità e la sorveglianza. Un timore legittimo è che queste misure, se non bene regolamentate, potrebbero avere effetti impropri sul diritto alla mobilità. In città con normative di traffico e accessi molto rigide, la linea tra “scelta” e “costrizione” può diventare labile. Partecipazione, regolamentazione, flessibilità e monitoraggio. In realtà, chi è favorevole al modello 15 minuti argomenta che il fine non è l’imposizione, ma rendere disponibili alternative di accesso. Naturalmente, per evitare devianze ed abusi sono fondamentali un processo che coinvolga i cittadini nella progettazione; delle regole trasparenti ed efficienti, per garantire la corretta gestione degli strumenti tecnologici di raccolta dati; meccanismi di revisione e verifica e, last but not least, politiche che differenzino gli interventi in base al contesto urbano e alle sue necessità. Queste ultime vanno ben calibrate per scongiurare le diseguaglianze: alcune zone possono restare mal collegate; alcuni servizi potrebbero non essere di pari qualità e non ugualmente disponibili. Inoltre, gli immobili nei quartieri meglio organizzati potrebbero diventare più costosi, spingendo fuori chi ha redditi più bassi. Il cambio culturale auspicato Ma non basta che si costruisca vicinanza, occorre che le persone usino le strutture vicine: l’abitudine, la qualità, la preferenza potrebbero spingere i cittadini a continuare ad utilizzare strutture lontane. Se la città dei 15 minuti rimane un obiettivo, non una costrizione, se è custode della libertà anziché della limitazione, allora può essere un’utopia pragmatica capace di trasformare la vita urbana. Ma il passaggio dalla visione ideale alla sua attuazione richiede saggezza, trasparenza e vigilanza costante. Il cambio culturale temuto In ogni caso, anche rispettando la totale libertà dei cittadini e godendo dei vantaggi del nuovo modello organizzativo urbano, sicuramente la vita della comunità verrà trasformata. La città rischia di perdere la sua unità e di diventare una somma di “villaggi urbani” poco comunicanti fra loro. Poiché non tutti i quartieri avranno le stesse risorse o opportunità, alcuni “paesi” cittadini saranno ricchi e altri marginali. Inoltre, i grandi poli di incontro, scambio e innovazione (centri, università, teatri, mercati globali) potrebbero indebolirsi; il vivere tutto “a 15 minuti” significa anche vedere meno persone diverse, con la conseguenza di ridurre la mescolanza sociale e culturale tipica della città moderna. La città dei 15 minuti promette un ritorno a una scala umana, ma rischia di farci perdere quella scala metropolitana che alimenta dinamismo, confronto e progresso. Passeremo un brutto quarto d’ora o ci attende un futuro roseo? Angela Iacovetti