Scivola sul ghiaccio e perde la causa: Comune di Avellino assolto

Scivola sul ghiaccio e perde la causa: Comune di Avellino assolto

Nel 2012, nel Comune di Avellino, una donna cadde a causa di una strada ghiacciata.

Ritenendo responsabile l’Amministrazione comunale, decise di intentare un’azione volta al risarcimento del danno, fondando la propria domanda sulla responsabilità ex art. 2051 c.c.

Secondo sua tesi, la presenza di ghiaccio era dovuta a una mancata manutenzione della via pubblica.

Il 14 novembre 2025, la Cassazione ha messo fine al contenzioso giudiziario, statuendo il definitivo rigetto della domanda.

Una vicenda giudiziaria tutt’altro che semplice

In primo grado, il Comune si costituì in giudizio respingendo ogni addebito e sostenendo che l’accumulo di neve ai bordi della carreggiata fosse dovuto alle eccezionali precipitazioni dei giorni precedenti e che l’incidente fosse riconducibile alla grave negligenza della stessa vittima.

Il Tribunale di Avellino diede ragione alla donna e condannò il Comune a versarle 24.545,44 euro.

L’amministrazione comunale propose appello.

La Corte d’Appello di Napoli accolse il gravame, ribaltando integralmente la decisione di primo grado.

I giudici riconobbero che il Comune, in qualità di custode della strada, era tenuto alla manutenzione e alla pulizia del tratto interessato.

Al contempo, evidenziarono però che, pur non essendo stata provata un’adeguata attività preventiva da parte dell’ente, la condotta della vittima era stata caratterizzata da un livello di imprudenza tale da interrompere il nesso causale tra lo stato della strada e l’evento dannoso.

In altre parole, la caduta fu ritenuta conseguenza di un comportamento “irragionevole, non riconducibile alla responsabilità della pubblica amministrazione.

Il ricorso per cassazione: per la donna era necessario percorrere quella specifica via (e non aveva scelta)

La donna ha impugnato la sentenza di secondo grado davanti alla Corte di cassazione.

Nel primo motivo di ricorso, contestò la decisione della Corte d’Appello di Napoli sotto due profili.

Da un lato, denunciò la violazione degli artt. 2051 e 1227 c.c., sostenendo che i giudici campani avessero erroneamente attribuito a lei un comportamento imprudente nella dinamica del sinistro.

Invero, la caduta non derivò da una scelta negligente, bensì da un percorso obbligato: il marciapiede sarebbe stato reso impraticabile dagli operatori comunali che, spalando la neve, l’avevano accumulata proprio lungo il camminamento pedonale, costringendola ad attraversare la strada ghiacciata.

Con il secondo motivo di ricorso, la donna denunciò la nullità della sentenza asserendo che la motivazione fornita dalla Corte territoriale fosse “solo apparente”.

In particolare, contestò che i giudici avessero qualificato la sua condotta come imprudente senza spiegare in modo concreto quale comportamento diligente sarebbe stato esigibile da lei, soprattutto considerando che l’attraversamento della strada risultava inevitabile e che non esistevano percorsi alternativi.

La decisione della Cassazione: la responsabilità da cose in custodia non si fonda sulla colpa

Secondo il Collegio, la Corte d’Appello di Napoli, nel ricostruire il quadro giuridico relativo alla responsabilità del custode, aveva richiamato un orientamento ormai superato dalla più recente giurisprudenza, sostenendo che l’ente sarebbe tenuto a prevenire i potenziali pericoli connessi al bene demaniale mediante adeguata manutenzione, gravando su di esso un corrispondente onere probatorio.

Un’impostazione, questa, che si rifà alla logica della “colpa presunta”, ormai ritenuta recessiva rispetto alla più evoluta interpretazione dell’art. 2051 c.c.

Tuttavia – sottolinea la Corte – tale imprecisione teorica non incide sulla correttezza sostanziale della decisione.

È infatti pacifico tra le parti che la ricostruzione del nesso causale tra il ghiaccio presente sulla carreggiata e la caduta della donna sia fondata, così come risulta dimostrato il danno riportato.

L’attrice, dunque, aveva assolto l’onere probatorio richiesto dall’art. 2051 c.c.

Il comportamento della donna integra il caso fortuito

La Corte d’Appello di Napoli aveva legittimamente ritenuto che il comportamento della vittima integrasse gli estremi del caso fortuito.

Tale valutazione, osserva la Cassazione, è supportata da molteplici elementi di fatto evidenziati con precisione nella sentenza impugnata:

  • la piena conoscenza dei luoghi da parte della donna;
  • la visibilità garantita dall’ora mattutina;
  • la presenza evidente della neve accumulata sui marciapiedi;
  • la percezione immediata delle condizioni di ghiaccio sulla strada;
  • la consapevolezza della necessità di adottare la massima cautela nonché le rigide temperature dei giorni precedenti.

Secondo i giudici d’appello, tali circostanze avrebbero dovuto indurre la donna a una prudenza ancora maggiore, soprattutto tenendo conto della ben nota scivolosità del manto stradale ghiacciato e della sua età non più giovanile.

Risulta irrilevante la tesi della ricorrente secondo cui l’imprudenza sarebbe stata “indotta” dall’impraticabilità dei marciapiedi, resi inaccessibili dalla neve accumulata dal Comune.

La Corte sottolinea come la nozione di imprudenza indotta costituisca un vero e proprio ossimoro, già sul piano logico.

Non solo, ritiene decisivo quanto già evidenziato dal giudice territoriale: anche quando il comportamento è necessario – come l’attraversamento della strada ghiacciata per recarsi al lavoro – la consapevolezza della sua pericolosità innalza la soglia di prudenza richiesta.

Se, pur adottando la massima cautela, la caduta si verifica, è inevitabile concludere che la prudenza impiegata sia stata insufficiente, e che la vittima abbia sottovalutato colpevolmente il rischio, per quanto percepito e conosciuto.

Da ciò discende la corretta qualificazione del comportamento come elemento integrativo del caso fortuito.

In sostanza, in alternativa all’adozione della massima cautela nell’attraversamento di quella strada così come avvenuto (e nelle note condizioni), la vittima avrebbe dovuto valutare ogni altro comportamento possibile:

  • dalla ricerca di uno spazio privo di ghiaccio, se esistente;
  • alla richiesta di aiuto ad un passante;
  • fino all’estremo di non attraversare la strada stessa, tenuto conto anche della sua età non più giovanile all’epoca del sinistro.

Un passo della sentenza che riassume tutto

La Suprema Corte, per spiegare le proprie argomentazioni, riporta un esempio chiarissimo.

Si legge nella decisione come “Volendo esemplificare e per meglio esplicare il concetto, basti pensare, oltre al caso di specie, all’ipotesi di una inondazione della strada, o ad uno squarcio nel manto stradale tale da determinare l’apertura di una voragine, oppure ad un grosso incendio che si sprigiona dal sottosuolo, ecc.: in tali condizioni, come è ancora più intuitivo, la necessità di recarsi al lavoro non può giustificare l’azione dell’utente volta ad attraversare comunque la strada, ad es. lanciandosi in mezzo alle acque impetuose, o anche saltando la voragine da lato a lato, oppure affrontando le fiamme”.

In conclusione, la sentenza di secondo grado non aveva alcun punto debole nell’aver stabilito che il sinistro fosse riconducibile a un caso fortuito, determinato dall’imprudenza della vittima, tale da interrompere il nesso di causalità con lo stato della strada.

Infatti, la Corte sottolinea come la donna avesse piena percezione di tutti gli elementi di pericolo e avrebbe quindi potuto prevedere ed evitare il danno.

La violazione del generale dovere di “particolare cautela” e l’irrilevanza della prevedibilità astratta del suo comportamento confermano la correttezza della valutazione in merito.

La recente giurisprudenza di legittimità: un monito dietro l’altro

È realmente massiccia la produzione giurisprudenziale in cui la Cassazione si pronuncia in tema di responsabilità da cose in custodia relativa alla gestione di una strada.

Leggendo tutte le sentenze si coglie un punto comune: il pedone non può concedersi il lusso di essere disattento o superficiale e poi pretendere un risarcimento dall’Ente che gestisce una strada pubblica.

Il risarcimento per carenza di manutenzione di un strada pubblica è astrattamente ammissibile, ma deve superare un vaglio rigoroso ancorato ai precetti oramai cardine che promanano dalla giurisprudenza di legittimità in ordine alla responsabilità ex art. 2051 c.c.