Smart Road Legal Acquisizione gratuita di un immobile abusivo: serve l’ingiunzione del Comune (non basta l'ordine del giudice penale) Filippo Bisanti 29 December 2025 Citizen Italia Risolvendo una questione ben più complessa in tema di reati edilizi, la Terza Sezione Penale della Cassazione ha colto l’occasione di ricordare un principio di primo rilievo per la smart city. Secondo il Collegio, invero, l’acquisizione al patrimonio del Comune di un immobile abusivo conseguente alla mancata ottemperanza all’ordine di demolizione impartito dal giudice non può avvenire, poiché tale effetto consegue solo all’ordine di demolizione disposto in sede amministrativa (Cass. pen., Sez. III, 9 dicembre 2025, n. 39461). I tratti salienti della vicenda Si tratta, dunque, di un immobile abusivo. Con ordinanza depositata il 30 maggio 2025, la Corte d’Appello di Cagliari, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’istanza di revoca dell’ordine di demolizione di un fabbricato o, in subordine, di sospensione di tale ordine con rideterminazione del suo contenuto e individuazione delle parti ritenute illegittimamente realizzate. Il “Giudice dell’esecuzione” è colui che interviene nella fase in cui una sentenza definitiva deve essere concretamente eseguita. Il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Cagliari aveva emesso l’ordine di demolizione sulla base di una sentenza di condanna del Tribunale di Oristano, poi confermata dalla Corte d’Appello di Cagliari e diventata definitiva dopo la decisione della Corte di cassazione. Nel motivare il rigetto, la Corte ha evidenziato soprattutto un punto: le opere realizzate avrebbero comportato una trasformazione radicale dell’immobile originario. In particolare, una struttura alberghiera sarebbe stata convertita illecitamente in un complesso composto da 36 appartamenti a uso abitativo, con un mutamento anche della sagoma. Per questo, l’intervento è stato qualificato come “nuova costruzione” ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. e.1), d.P.R. 380/2001. La Corte ha aggiunto che, per tornare alla destinazione d’uso originaria, non sarebbero bastiti ritocchi “localizzati”: sarebbe servito, invece, un intervento strutturale, che avrebbe dovuto coinvolgere anche le parti preesistenti. Contro questa ordinanza, l’istante proponeva ricorso per cassazione articolando otto motivi. Al termine della vicenda giudiziaria, la Corte di cassazione rigettava il ricorso. Una premessa che vale quanto una decisione Ciò che interessa non sono le plurime questioni sottoposte al vaglio della Cassazione, bensì le premesse che la Corte formula per procedere, poi, alla decisione. Brevi considerazioni che, però, valgono quanto una decisione e consentono di tratteggiare lo stato dell’arte in una materia così importante come quella dell’acquisizione, da parte dei Comuni, di un immobile abusivo. Invero, la giurisprudenza ha chiarito più volte un principio pratico: se l’immobile abusivo viene acquisito al patrimonio del Comune, in genere cessa l’interesse dell’ex proprietario a chiedere revoca o sospensione dell’ordine di demolizione disposto con la sentenza di condanna per reati edilizi. Il motivo è semplice: una volta intervenuta l’acquisizione, il precedente proprietario viene considerato un “terzo”, cioè estraneo alle successive vicende giuridiche dell’immobile. Però, si presti attenzione: l’acquisizione non scatta “automaticamente” dopo la mancata demolizione su ordine del giudice penale. Ed è qui il punto decisivo: l’acquisizione gratuita al Comune non può derivare dalla sola mancata ottemperanza all’ordine di demolizione impartito dal giudice penale. Secondo questa impostazione, l’effetto acquisitivo si produce solo quando ci sia stata una ingiunzione di demolizione in sede amministrativa, cioè un ordine del Comune (non del giudice) e quando l’interessato non vi ottemperi nei termini. La Cassazione lo ha detto in modo netto: se manca un ordine comunale di demolizione regolarmente notificato, non si produce alcuna acquisizione. Perché? Lo dice la struttura stessa del Testo Unico Edilizia Il Collegio condivide questa conclusione perché la “catena” prevista dalla legge è molto lineare. L’art. 31, comma 2, d.P.R. n. 380/2001 parla dell’autorità amministrativa che “ingiunge” la demolizione (il linguaggio è quello dell’ “ingiunzione” comunale). Solo dopo, ai commi 3 e 4, si prevede l’acquisizione di diritto al patrimonio comunale dell’opera abusiva e dell’area di sedime, se il responsabile non demolisce entro 90 giorni dall’ingiunzione. I commi successivi (4-bis, 4-ter, 4-quater, 5, 6, 7, 8) continuano a ragionare sempre dentro lo stesso perimetro: esecuzione dell’ingiunzione comunale e conseguenze dell’inottemperanza. In più, il comma 5 rafforza l’idea che siamo nel circuito amministrativo: prevede che l’opera acquisita venga demolita con provvedimento del dirigente comunale, salvo che il Consiglio comunale dichiari prevalenti interessi pubblici che giustifichino la non demolizione. Ordine del giudice e ingiunzione del Comune: sono due binari diversi Il testo aggiunge un chiarimento importante: la disciplina dell’ingiunzione comunale è autonoma rispetto all’ordine di demolizione disposto dal giudice penale nella sentenza di condanna (per il reato edilizio ex art. 44 d.P.R. 380/2001). In particolare, l’ordine del giudice: è richiamato solo alla fine dell’art. 31, al comma 9; non viene definito come “ingiunzione”; non contiene rinvii ai commi precedenti (quelli sull’acquisizione); si esegue secondo le forme del codice di procedura penale, perché è un provvedimento giurisdizionale (anche se applica una sanzione di natura amministrativa). Da tutto questo deriva la conclusione: l’ordine di demolizione del giudice non è fungibile, cioè non può essere trattato come equivalente, rispetto all’ingiunzione del Comune. Quindi non può essere considerato il presupposto che fa scattare l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’immobile abusivo e dell’area di sedime. Smart City e legalità edilizia: quando la “città intelligente” è anche una città che sa eseguire In chiave Smart City, questa pronuncia ha un valore che va ben oltre il tecnicismo “ordine del giudice vs ingiunzione del Comune”: chiarisce che la rigenerazione urbana e la legalità edilizia funzionano davvero solo quando ogni attore istituzionale gioca la propria parte, senza scorciatoie. L’idea di città intelligente non è fatta solo di sensori e app, ma di governo del territorio tracciabile, prevedibile e trasparente: il Comune deve attivare e notificare correttamente i propri provvedimenti, assumendosi la responsabilità amministrativa del procedimento; la giustizia penale, dal canto suo, esegue l’ordine giurisdizionale secondo le regole del processo. Il risultato è un sistema più “intelligente” perché riduce contenziosi opportunistici, impedisce che l’abusivismo si nasconda in zone grigie procedurali e rafforza la fiducia dei cittadini: in una smart city, infatti, la qualità dello spazio urbano si tutela prima di tutto con regole chiare, filiere decisionali nette e capacità di esecuzione, altrimenti l’innovazione resta solo una vetrina. Filippo Bisanti