I confini tra diritto all’oblio e interesse pubblico

I confini tra diritto all’oblio e interesse pubblico

Il pronunciamento della Suprema Corte (Ordinanza n. 34217/2025) chiarisce come la Riforma Cartabia e il GDPR si integrano nel bilanciamento tra la protezione dei dati personali e il diritto della collettività a restare informata sui profili pubblici.

Nelle moderne “città intelligenti”, dove il flusso di dati definisce l’identità digitale dei cittadini, il tema del diritto all’oblio rappresenta una delle sfide legali più complesse.

Con l’ordinanza n. 34217 pubblicata il 26 dicembre 2025, la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione ha affrontato il delicato equilibrio tra la deindicizzazione dai motori di ricerca e il persistente interesse pubblico alla notizia.

Tra archiviazione penale e permanenza sul web

La vicenda origina dal ricorso di un avvocato il quale, dopo l’archiviazione di un procedimento penale a suo carico nel 2022, aveva richiesto a Google la deindicizzazione di alcuni URL residui che riportavano la notizia.

Nonostante l’interessato avesse ottenuto l’annotazione prevista dalla Riforma Cartabia (art. 64-ter disp. att. c.p.p.), sia Google che il Garante della Privacy avevano respinto la richiesta, ritenendo prevalente l’interesse pubblico.

La Riforma Cartabia non è un automatismo

Uno dei punti cardine della sentenza riguarda l’interpretazione dell’art. 64-ter disp. att. c.p.p., introdotto per tutelare gli indagati prosciolti.

La Cassazione ha confermato che tale norma non introduce un “nuovo” diritto all’oblio nazionale assoluto, ma deve essere applicata “ai sensi e nei limiti dell’articolo 17 del GDPR”.

In sintesi, l’ottenimento del titolo per la deindicizzazione dalla cancelleria del tribunale non garantisce la rimozione automatica dei contenuti se permane un interesse della collettività alla conoscenza dei fatti.

I criteri del bilanciamento: perché la notizia resta online

Il Tribunale di Napoli, la cui decisione è stata confermata dalla Suprema Corte, ha identificato tre elementi chiave per negare l’oblio nel caso di specie:

  • attualità della notizia: il breve tempo trascorso dall’archiviazione rende l’informazione ancora rilevante per la collettività,
  • ruolo pubblico dell’interessato: la notorietà del ricorrente (avvocato e direttore scientifico universitario) giustifica una maggiore esposizione mediatica,
  • esattezza dei dati: gli URL contestati erano stati aggiornati riportando correttamente l’esito favorevole (l’archiviazione), fornendo così un quadro veritiero e non pregiudizievole della vicenda.

Verso una “autodeterminazione informativa”

La sentenza sottolinea come il diritto all’oblio si sia evoluto da “analogico” (legato al tempo che passa) a “tecnologico-digitale” (diritto all’oblio 2.0), focalizzato sul controllo della circolazione dei dati.

In un ecosistema urbano sempre più interconnesso, la protezione dei dati non può prescindere da un accurato bilanciamento con la libertà di informazione, specialmente quando i fatti riguardano soggetti con ruoli attivi nella vita pubblica e nel dibattito generale.