Dalle smart city alle città non globalizzate

Dalle smart city alle città non globalizzate

Questo è il tema del convegno ospitato nella Sala Matteotti della Camera dei Deputati. Un titolo pragmatico e poetico che, nel contempo, sottende paure ma richiama anche il bisogno di concretezza, di riscoprire le proprie radici. Risposte che dovrebbe dare una politica che ama il suo territorio.

Smart city, una città che allontana o avvicina?

Il titolo riprende uno dei testi vergati dal prof. Silvio Bolognini, riportando – in sostanza – il titolo di un suo saggio, già edito nell’agosto del 2023. Il docente è anche presente nel parterre dei relatori.

Ovviamente le considerazioni espresse dall’accademico, anche non dettando l’agenda dei lavori, inevitabilmente la influenzano, perché la sua produzione scientifica ha affrontato il tema della smart city in più momenti della sua carriera.

Quindi, quel titolo poetico, che richiama il bisogno di un ritorno a un periodo pre-globalizzato – difficile anche da definire, tale periodo, perché troppe sarebbero le direttrici da indagare – ma che, come titolo, diventa assolutamente diretto e pragmatico.

Perché è il paradigma della smart city a essere oggetto di indagine: esplosivo e assolutamente pervasivo.

Attenzione, non vi è una critica sullo stile dei “no smart city“, quindi un inno alla totale negazione della tecnologia, in ogni sua forma. No davvero, il tema è altro.

Attraverso la smart city, in particolare al come si sia arrivati a concepire un certo tipo di centro urbano, i relatori – con modalità differenti e tratteggiando aspetti diversi – invitano a riscoprire il genius loci delle città.

Il senso è l’evitare di uniformare i centri urbani, omogenizzandoli, ma favorendo lo sviluppo di strategie, anche, di “marketing territoriale” (cit. i prof. Zingone e Paganelli), facendo coniugare tradizione e tecnologia nelle costruzioni e nell’approccio all’organizzazione dell’urbanistica delle città.

Tutto sommato, viene anche evidenziato come fino a ora il primato urbanistico nazionale (frutto di una sedimentazione storica) non è stato grandemente intaccato da una tecnologia esasperata, come,  invece, è accaduto in varie altri parti del mondo.

Anche questa “lentezza”, qui esaltata con chiave positiva, viene indagata attraverso coefficienti variegati (e basti guardare anche alle varie kermesse sul tema e alle statistiche stilate) e porta alla riscoperta delle contraddizioni di queste forme di conglomerato urbano.

Sviluppo urbanistico: problematiche, limiti e aspetti generali delle città di oggi

Appare interessante partire proprio dalla definizione di smart city, anche  attraverso quanto presente sul sito della commissione UE:

Una città intelligente è un luogo che integra i sistemi fisici, digitali e umani nelle reti e nei servizi tradizionali per utilizzare meglio le risorse energetiche e ridurre le emissioni a vantaggio dei cittadini e delle imprese.

La definizione di “città intelligente” va oltre l’uso delle tecnologie digitali e comprende anche edifici più efficienti sotto il profilo energetico, fonti energetiche rinnovabili integrate, sistemi di riscaldamento e raffreddamento sostenibili, reti di trasporto urbano più intelligenti, un approvvigionamento idrico potenziato e migliori strutture di smaltimento dei rifiuti per affrontare le sfide economiche, sociali e ambientali della città. Le città intelligenti si basano su un impegno politico e su un impegno ampio e inclusivo dei cittadini per fornire soluzioni sostenibili e inclusive per rendere le città più resilienti.

I relatori pongono in evidenza un paradosso.

Le città smart (ma non intelligenti, come ricordato dal prof. Bonavoglia) nascono, anche, per sopperire a esigenze inverse, in sostanza calate da un vertice, perché su input politico proveniente “dall’alto verso il basso”.

D’altronde, ricorda il prof. Bolognini, la strategia comunitaria, tipica quindi della UE, è incentrata su cinque momenti tra di loro concatenati:

  • sviluppo di politiche di coesione;
  • governance multilivellare;
  • prospettiva policentrica;
  • utilizzo di indicatori smartness;
  • buone prassi, queste per facilitare il raggiungimento dei task.

Pericoli? La sostanziale trasformazione della prospettiva delle decisioni prese, che non sono più assunte e validate dal basso ma dall’alto, in funzione – appunto – di un sistema comunitario, che di fatto viene paragonata a una holding che funge da ambiente dove si svolge un incontro tra domanda e offerta, con slancio di partenariati pubblico-privato.

Interessante esempio può essere la città, o anche l’idea di città, percorribile in 15 minuti, anche comprendendo singoli ambiti territoriali. Il punto è però riuscire a offrire la possibilità di usufruire dei medesimi servizi in ogni angolo di quel centro.

Molti, anche in questo caso, possono essere gli indicatori da analizzare, e con essi le mappe che possono essere indagate.

Si vedrà, come la possibilità di usufruire di servizi si disperde, nell’orizzonte temporale considerato, man mano che l’utente si allontana dal centro, andando verso la periferia, salvo l’avere un’estensione territoriale ragionevolmente “contenuta”.

Ecco che viene tratteggiato anche il modello “learning city“.

Il modello in questione ha un respiro ancora più transnazionale, globale, anzi, grazie alla particolare sede dov’è nato: le Nazioni Unite.

Obiettivo? Incrementare la formazione permanente, ideale volano di sviluppo delle città.

Infatti, è Audrey Azoulay, direttrice generale dell’UNESCO che, in occasione della nuova ammissione di 64 città nel programma “learning city“, dice:

“Le città sono fondamentali per trasformare il diritto all’istruzione in una realtà tangibile per gli individui di tutte le età. Con le nuove ammissioni, la rete comprende ora 356 città che condividono il know-how e aprono la strada alle opportunità di apprendimento permanente per 390 milioni di cittadini”.

Ed è proprio l’ibridazione di conoscenze che è esaltata nel convegno.

Da un lato, si richiama al cinismo partecipativo, condizionato da scelte effettuato a monte e poi declinate a vario modo nella catena decisionale.

D’altro canto, invero,  si avverte la necessità di favorire il recupero della tradizione. Con essa, del profilo identitario, andando ad arricchire gli indicatori categoriali delle smart city, ma anche considerando delle specificità valoriali.

Le città sono vive, infatti, rappresentando un fenomeno di per sé irripetibile.

Ecco perché, nel contesto della città smart, dove la tecnologia è pervasiva, fatta da sensoristica spinta, videocamere, dash board, strumenti di programmazione avanzati e interoperabilità tra base dati ed enti,  valutare il rispetto del luogo, dell’andamento del paesaggio, evitare strutture eccessivamente invasive, opportuni riferimenti a volumi e proporzioni di edifici storici, è ampiamente caldeggiato.

Si tratta di integrare l’estetica locale in modo armonioso, mantenendo anche un collegamento visivo con gli elementi tradizionali e storici. Perché le smart city, secondo i relatori, scontano il paradigma che vuole l’omogeneizzazione del genius loci che, invece, rimane ben presente nei piccoli e medi centri urbani.

A conclusione del convegno, l’idea dello scrivente, è stata quella di giungere a una città sì smart, quindi tecnologicamente avanzata, ma dall’animo green e inclusiva.

Silvestro Marascio