Diritti non algoritmi, la Convenzione del Consiglio d'Europa sull’AI

Diritti non algoritmi, la Convenzione del Consiglio d’Europa sull’AI

AI al centro della Convenzione quadro del Consiglio d’Europa (CETS 225). Lo scopo dichiarato è stabilire un equilibrio giuridico che regoli le attività collegate all’intelligenza artificiale, preservando i diritti umani e il funzionamento delle istituzioni democratiche.

Convenzione quadro

Il Consiglio d’Europa (da non confondere con il Consiglio dell’Unione Europea e con il Consiglio Europeo) è un’organizzazione internazionale che promuove i diritti umani e i cui Stati membri, insieme ad altri Paesi non europei, il 5 Settembre 2024 hanno firmato a Vilnius, in Lituania, la Convenzione quadro del Consiglio d’Europa.

Obiettivo

Si intende garantire che lo sviluppo e l’uso dell’IA siano pienamente conformi ai principî dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto.

Operatività

Tale accordo diventerà operativo tre mesi dopo la ratifica di almeno cinque Paesi, di cui almeno tre membri del Consiglio d’Europa. Firmato da oltre 45 Stati, tra i quali USA, Canada, Giappone, Regno Unito, Israele e Unione Europea, il suo impatto è, quindi, planetario.

Stiamo parlando del primo trattato sull’intelligenza artificiale giuridicamente vincolante al mondo.

È un momento storico in cui il diritto non insegue la tecnologia, ma la guida e in cui l’Europa torna a proporre visione, regole e principii universali.

Impatto e importanza

Di pochi mesi successivo al regolamento europeo (Reg. UE 2024/1689, conosciuto come AI Act), la Convenzione in parola segna l’avvio di una disciplina globale dell’IA, oltre l’UE, promuovendo cooperazione internazionale e stabilendo uno standard giuridico minimo obbligatorio, incentrato sulla prevenzione dei rischi, la responsabilità e i diritti fondamentali.

Tale standard è progettato per essere neutrale rispetto alla tecnologia, nel senso che l’evoluzione dell’IA deve sempre tener conto dei principî e delle regole stabiliti dall’accordo in parola, il quale preserva la sua rilevanza di fronte a qualsiasi sviluppo tecnologico.

La Convenzione disciplina ogni fase del ciclo di vita di un’IA, dal progetto all’utilizzo, assicurando trasparenza, responsabilità e gestione dei rischi.

Inoltre, è allineata con l’AI Act dell’Unione Europea e con i suoi principî: obbligo di auditing, approccio risk-based, tracciabilità e divieti per i sistemi ad alto rischio.

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Una bussola per il mondo, la portata globale del trattato

La Convenzione non è un documento simbolico, ma un quadro vincolante che fungerà da guida nei trattati futuri, nei contratti pubblici, nelle valutazioni d’impatto dell’IA.

Essa si propone come architrave giuridico e culturale per costruire un’IA che sia realmente al servizio della libertà umana, non della sua compressione.

Obblighi e tutele

Gli obblighi imposti agli Stati firmatari mirano a salvaguardare:

  • la dignità umana e l’autonomia individuale, contro il rischio di sorveglianza e manipolazione;
  • la trasparenza e la responsabilità degli algoritmi, anche quelli “black box“;
  • l’equità e la non discriminazione, per scongiurare bias di sistema che colpiscono donne, minoranze, categorie fragili;
  • l’accesso effettivo a rimedi legali, per proteggere chi subisce danni da decisioni automatizzate;
  • la privacy e la tutela dei dati personali, per evitare diffusioni improprie, inopportune ed illegittime di pezzi di vita di ognuno,
  • la sicurezza, la qualità, l’affidabilità e la tracciabilità delle tecnologie IA, con obblighi chiari anche per gli sviluppatori privati.

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Un trattato che plasma il futuro

Oggi più che mai, la velocità dell’innovazione rischia di lasciarsi indietro la nostra capacità di comprenderla, governarla, persino nominarla.

La Convenzione del Consiglio d’Europa mostra che l’intelligenza artificiale non è più solo una tecnologia, ma una responsabilità collettiva.

La Convenzione introduce un concetto audace: il progresso tecnologico non è neutro, e deve essere etico, trasparente e incentrato sull’essere umano e i suoi diritti.

Per questo occorre che le classi politiche e dirigenti, ma anche tutti i cittadini, comprendano che il diritto dell’IA non è materia tecnica da specialisti, ma costituzione materiale della nostra vita futura.

Quest’accordo obbliga a pensare l’intelligenza artificiale non solo in termini tecnici, ma in termini di civiltà.

Perché dietro ogni algoritmo c’è una visione del mondo e una scelta di società.

Angela Iacovetti