Smart Road Non chiamiamoli più pirati della strada. Parole e sicurezza stradale Maurizio Carv... 29 September 2025 Sicurezza Su Citynex, più volte, i diversi redattori hanno sottolineato nelle pieghe di vari articoli, l’importanza nell’ambito della promozione della sicurezza stradale di una corretta narrazione di un sinistro stradale. Perché le parole possono, meglio, debbono avere un peso e chi fa cronaca ha il dovere morale e deontologico di saperlo. È talmente centrale questa problematica che il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti tempo addietro ha promosso il corso “Non esistono auto impazzite. Il racconto sbagliato degli ‘incidenti stradali’ e come cambiarlo … Per salvare vite!”. Il tutto grazie alla fattiva collaborazione dell’Ing. Stefano Guarnieri e dell’associazione intitolata a suo figlio Lorenzo. Un titolo volutamente lungo ma che racconta già moltissimo. Perché, come ha scritto Laura Biarella a margine della presentazione del corso lo scorso giugno, «il modo in cui raccontiamo i sinistri stradali non è solo una questione di stile: può fare la differenza tra una società che accetta la violenza stradale come fatalità e una che la combatte con consapevolezza». Non sono solo semplici parole Se pensiamo che un sinistro stradale o uno scontro stradale siano semplici sinonimi o se riteniamo che scrivere la frase “auto investe pedone” in luogo di “automobilista investe pedone” sia solo una mera questione stilistica, ci sbagliamo. E di molto. Perché il termine incidente, fin dal suo significato originario evoca un evento fortuito, non previsto. Incidente viene dal verbo latino incidens, participio presente del verbo incĭdo, letteralmente cadere sopra. Mentre un incidente stradale, nella quasi totalità dei casi, è il prodotto di una specifica azione od omissione umana che con la fatalità ha ben poco a che fare. Ancor più centrale è l’inopportunità di addossare la responsabilità di un sinistro stradale al veicolo. Lo si fa attraverso frasi quali “auto investe pedone”, magari, aggiungendo alla stessa anche l’aggettivo impazzita, regalando al lettore, in luogo della cruda realtà dei fatti, una narrazione che sembra più la trama di un libro di fantascienza. Perché auto impazzite, di norma, non esistono. Si tratta, infatti, sempre di mezzi guidati dagli uomini, titolari unici di specifiche scelte legate alle modalità di guida, comportamenti che se illeciti possono determinare effetti, spesso drammatici. Dunque, la preferenza dei termini nel confezionamento di un articolo di cronaca di un sinistro stradale non deve rispondere solo a semplici esigenze di natura stilistica. Bensì deve rappresentare l’opportunità per provare a invertire il senso delle cose, favorendo la cultura della sicurezza stradale. Questione sempre attuale e nodale che passa anche da un coscienzioso uso delle parole e dal rispetto di un preciso protocollo giornalistico che indichi le scelte più virtuose da fare nella scelta dei termini da adottare. Non sono pirati ma delinquenti “Ucciso da un pirata della strada che guidava a velocità folle.” “Il pirata della strada dopo aver falciato a morte il pedone ha fatto perdere le sue tracce.” “Ancora senza esito le ricerche del pirata della strada che nella notte si è reso responsabile di un incidente stradale nel quale è morta un’intera famiglia.” Questi sono solo alcuni titoli di cronaca che hanno in comune due elementi: l’evento tragico legato a un sinistro stradale con esito mortale e la presenza di una figura, quella di un pirata della strada. Ma chi è un pirata della strada? Nel gergo giornalistico, la tipologia dei media in questione è del tutto indifferente. Visto che tale termine viene indifferentemente usato dalla carta stampata, dalla televisione nonché dai social. Per “pirata della strada” si intende colui che coinvolto in un incidente stradale, non necessariamente con esito mortale, si dà alla fuga. Evitando, in tal modo di mettersi a disposizione delle forze dell’ordine per le indagini del caso. Difficile sapere chi e quando nel mondo dei media abbia cominciato ad accostare la figura del pirata. Ovvero di colui che fin dall’antichità assaltava le navi per poter mettere le mani su bottini di varia natura, a coloro che dopo un incidente, molto spesso provocato, si danno alla fuga. Probabilmente, chi per primo ha accostato il termine pirata a colui che si rende responsabile di una collisione e poi fugge, non ha valutato appieno la portata di tale scelta. Il pirata (il termine deriva dal greco πειρατής, ovvero colui che assale) nell’accezione figurata è una figura che, pur muovendosi nell’illegalità, suscita un evidente fascino. Ciò grazie anche a una certa letteratura. Si pensi ai romanzi di Robert Louis Stevenson o del nostro Emilio Salgari. Oppure a una specifica cinematografia, una su tutte la serie dei Pirati dei Caraibi. Il fascino è una caratteristica che mai dovrebbe essere associata a chi magari dopo aver ucciso un essere umano, decide di fuggire. Delinquente è la keyword più appropriata? E, allora, vista la gravità dell’atto che un automobilista coscienziosamente pone in essere decidendo di scappare dopo uno scontro stradale, non sarebbe meglio appellare quel soggetto con un termine più appropriato? Quale, ad esempio, delinquente. Una parola che, scevra di qualsiasi forma di fascino, inchioderebbe il guidatore alle sue specifiche responsabilità? Valore di keywords e concetti A proposito del valore delle parole e dei concetti, esaustivo più di ogni altro discorso è quanto più volte ha ripetuto Luca Valdiserri. Un noto giornalista, ma soprattutto padre di Francesco, ucciso da un’automobilista che il 19 ottobre 2022 guidava non solo in stato di ebrezza, ma anche superando i limiti di velocità previsti su quel tratto di strada. Luca Valdiserri a chi scriveva o diceva che il figlio quella notte si era trovato nel posto sbagliato, ha più volte risposto che, invece, si trovava nel posto giusto. Il marciapiede, infatti, è un luogo in teoria sicuro, dove Francesco stava camminando con un suo amico, per fortuna rimasto illeso. Ricorrere a frasi di circostanza come “era nel posto sbagliato” significa spostare la responsabilità di uno scontro stradale. E cioè dalla colpa specifica di chi guidava, al fato. Un cinico burattinaio dei nostri umani destini che, però, con gli scontri stradali non ha nulla a che vedere. «Mi ha sempre affascinato l’idea che le parole – cariche di significato e dunque di forza – nascondano in sé un potere diverso e superiore rispetto a quello di comunicare, trasmettere messaggi, raccontare storie. L’idea, cioè, che abbiano il potere di produrre trasformazioni, che possano essere, letteralmente, lo strumento per cambiare il mondo.» (Giancarlo Carofiglio, “La manomissione delle parole”, Feltrinelli, 2021) Maurizio Carvigno