La fine dell’anonimato: sorveglianza, folla e il futuro della protesta urbana

La fine dell’anonimato: sorveglianza, folla e il futuro della protesta urbana

In un’epoca segnata da ricorrenti proteste di piazza e manifestazioni ad alta tensione, l’attenzione si concentra non solo sulle motivazioni sociali e politiche, ma anche sulla fenomenologia del disordine stesso.

I recenti episodi di scontri urbani offrono un campo di studio cruciale, dove il comportamento irrazionale e amplificato della folla si confronta direttamente con i sofisticati sistemi di videosorveglianza e riconoscimento facciale.

L’analisi che segue scompone questo conflitto: da un lato, i meccanismi psicologici che trasformano l’individuo in una particella anonima; dall’altro, l’occhio algoritmico che cerca di negare proprio quella anonimia.

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Il dominio della psicologia collettiva

La violenza e il disordine della folla nascono da una momentanea ma radicale alterazione della psiche individuale, un fenomeno che la psicologia descrive con precisione clinica.

L’ombra dell’anonimato (deindividuazione): è il motore principale della disinibizione. L’individuo, sommerso dalla massa, perde il senso della propria identità singolare. La convinzione di essere invisibile e non rintracciabile scioglie i freni morali e razionali. Questo anonimato psicologico genera un senso di onnipotenza collettiva, rendendo azioni impulsive e distruttive non solo possibili, ma persino accettabili all’interno del frame del gruppo.

Il contagio emotivo: rabbia, frustrazione o eccitazione non rimangono confinate al singolo. Si propagano come un’onda d’urto, amplificando l’intensità emotiva del collettivo a livelli che superano di gran lunga la somma delle reazioni individuali. La folla diventa un unico organismo guidato da pulsioni intense e immediate.

L’ipotesi della suggestione: in questo stato alterato, la massa diventa estremamente suggestionabile. Il pensiero critico si attenua e l’adesione a slogan, narrazioni o gesti dominanti avviene per osmosi, trasformando rapidamente un assembramento in un attore monolitico e reattivo.

Il comportamento disordinato della folla è, in sostanza, una regressione guidata dalla certezza dell’impunità garantita dall’essere-nel-numero.

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L’intervento della tecnologia di rilevamento

A confrontarsi con questa dinamica psicologica primordiale ci sono i sistemi di videosorveglianza intelligenti e, in particolare, il riconoscimento facciale (FRT). Queste tecnologie mirano a ripristinare la responsabilità individuale, agendo direttamente sul fondamento psicologico della folla.

L’algoritmo contro l’anonimato

L’efficacia della videosorveglianza moderna non risiede più solo nella registrazione passiva, ma nell’analisi attiva dei dati biometrici.

Identificazione inesorabile: l’FRT ha il potenziale per negare l’anonimato a livello operativo. Analizzando i flussi video in tempo reale o in differita, è in grado di estrarre e confrontare i template biometrici dei volti con database preesistenti. Questo processo elimina la protezione psicologica del “non sarò mai beccato”.

Deterrenza psicotecnologica: la sola percezione o la certezza di essere soggetti a sorveglianza biometrica introduce un forte deterrente. Minando la premessa della deindividuazione, la tecnologia costringe l’individuo a rinegoziare la sua azione, sapendo che la conseguenza legale non sarà assorbita dalla collettività.

Analisi comportamentale post-evento: al di là dell’identificazione, le telecamere offrono una ricostruzione dettagliata e oggettiva della sequenza degli eventi.

Questo materiale è cruciale per isolare i catalizzatori e i responsabili diretti all’interno del flusso disordinato della folla.

La contro-frontiera: strategie di anti-sorveglianza

L’introduzione dell’FRT non ha reso i manifestanti attori passivi; ha piuttosto innescato una corsa agli armamenti tecnologici sul campo.

La folla si sta adattando, cercando attivamente di ripristinare il proprio baluardo psicologico.

Tattiche di occultamento: si sta diffondendo l’uso strategico di maschere, passamontagna o tecniche di dazzle makeup (trucco con pattern geometrici che confondono gli algoritmi). L’obiettivo è ingannare il sistema biometrico e riottenere l’anonimato digitale.

Guerra elettronica minore: in alcuni casi, l’uso di laser o flash potenti viene impiegato per sovraccaricare e accecare temporaneamente le telecamere in punti focali, rendendo i dati raccolti inutilizzabili per l’analisi algoritmica.

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Libertà contro sicurezza

L’impiego di queste tecnologie è regolato da complesse normative (come le direttive sulla privacy dei dati biometrici), ma il loro ruolo nel contrastare la deindividuazione è centrale. Tuttavia, questa invasività tecnologica solleva pesanti interrogativi per le smart cities.

L’effetto chilling: la sorveglianza biometrica e l’identificazione sistematica possono generare un “effetto di raffreddamento” (chilling effect) sulla libertà di espressione e di manifestazione.

La paura di essere schedati o identificati per la sola partecipazione a una protesta, anche pacifica, può scoraggiare il dissenso democratico.

Bias e affidabilità: va considerata la questione del margine di errore algoritmico.

L’FRT in condizioni di folla, movimento e scarsa illuminazione è meno preciso.

Inoltre, numerosi studi hanno evidenziato bias di accuratezza verso alcuni gruppi etnici, sollevando preoccupazioni sulla giustizia e l’equità dell’applicazione della legge.

L’arena dello scontro si è evoluta: non è più solo una lotta fisica tra folla e forze dell’ordine, ma una battaglia per il controllo del dato di identità in un ambiente progettato psicologicamente per sfumarla.

La novità di questa era non è la rabbia della folla – che è antica – ma la capacità della tecnologia di penetrarne il baluardo psicologico dell’anonimato e la determinazione dei cittadini di difenderlo.

La città iper-responsabilizzata

La vera frontiera dello scontro non si esaurisce nell’ultima carica della folla o nel perfezionamento di un algoritmo.

Essa risiede nel futuro assetto psicologico e politico dello spazio urbano.

Se la tecnologia riuscirà a negare costantemente il velo dell’anonimato, le nostre città potrebbero evolvere in ambienti di “iper-responsabilizzazione“, luoghi dove ogni gesto, ogni presenza, è immediatamente riconducibile a un individuo e alle sue conseguenze legali.

Questa visione promette un ordine impeccabile, neutralizzando la regressione impulsiva che alimenta il disordine di massa.

Ma il prezzo è la progressiva erosione della “zona grigia” di libera associazione e dissenso che storicamente ha nutrito il cambiamento sociale.

La negazione dell’anonimato non colpisce solo il violento, ma anche chi desidera protestare senza timore di ritorsioni sul lavoro o schedature politiche.

La battaglia per l’identità nella folla è, in realtà, la battaglia per la natura stessa della partecipazione civica.

In un mondo di “anonimato zero”, siamo davvero disposti a scambiare il potenziale disordine della libertà per la rassicurante compostezza del controllo totale?

La risposta darà forma non solo alle nostre piazze, ma alle nostre democrazie.

Antonella Renzetti