Quando un cancello viola la Costituzione: il diritto di tutti ad accedere al mare

Quando un cancello viola la Costituzione: il diritto di tutti ad accedere al mare

Il mare appartiene a tutti.

È uno spazio di libertà, di incontro e di identità collettiva che la legge riconosce come bene comune, da custodire e rendere accessibile.

Ogni barriera, ogni cancello o concessione che ne limiti la fruizione non è solo un ostacolo fisico, ma una lesione del principio, sancito dalla Costituzione, secondo cui il patrimonio naturale deve essere goduto e protetto nell’interesse della collettività.

Garantire l’accesso pubblico al mare significa, dunque, difendere un diritto di cittadinanza e un valore ambientale universale.

Questo diritto non può essere compromesso dall’esistenza di una concessione balneare.

Il titolare di una concessione balneare installa un cancello ed impedisce l’accesso al mare: è consentito?

Per la Procura della Repubblica di Taranto la risposta è no!

Per tale ragione, iscriveva nel registro degli indagati il titolare di una concessione balneare.

La condotta incriminata consisteva nell’aver ostruito una stradina comunale con l’apposizione di un cancello in metallo che impediva, così, il libero accesso al lido.

Il cancello veniva sottoposto a sequestro preventivo, tempestivamente impugnato dall’indagata.

Per il Tribunale del Riesame, però, la doglianza era infondata e rigettava l’appello.

L’indagata impugnava la decisione, sostenendo che la propria concessione le consentiva l’occupazione della stradina.

La concessione balneare non può derogare le norme primarie

Il Collegio rigettava il ricorso evidenziando che la disciplina delle concessioni comunali concernenti le vie di accesso al mare doveva essere coordinata con le disposizioni di legge statale, che costituiscono fonte sovraordinata.

Per ragioni che si colgono agevolmente, un provvedimento amministrativo dell’ente territoriale non può derogare o porsi in conflitto con norme generali dettate dalla legislazione nazionale.

Sul tema, i principi fondamentali sono regolati:

Dalla lettura congiunta delle disposizioni normativa si desume che debba essere consentito il libero e gratuito accesso e transito, per il raggiungimento della battigia antistante l’area ricompresa nella concessione, anche ai fini della balneazione.

Questo principio trova altra conferma nella Legge 14 novembre 2024, n. 166, in cui il Legislatore ha regolato degli aspetti procedurali relativi alle selezioni per il rilascio di nuove concessioni o per il rinnovo di quelle esistenti, senza modificare i principi sostanziali in tema di fruizione collettiva del demanio marittimo.

Il diritto al mare secondo la giurisprudenza

Le Sezioni Unite Civili della Cassazione, in passato, hanno già ben affermato che, dall’applicazione diretta degli artt. 2, 9 e 42 Cost., si ricava un principio di tutela della personalità umana e del suo pieno sviluppo nello Stato sociale, anche in relazione al “paesaggio”.

Tale tutela riguarda quei beni che, per loro natura o finalità, risultano funzionali al soddisfacimento di interessi collettivi e, come tali, devono considerarsi “beni comuni”, indipendentemente dal titolo di proprietà (Cass. Civ., Sez. Un., 14 febbraio 2011, n. 3665).

Analogo orientamento è stato espresso dalla giurisprudenza amministrativa.

Il Consiglio di Stato, con ordinanza n. 2543/2015, ha specificato che:

  • il demanio marittimo, che include la battigia, è un bene pubblico destinato alla collettività;
  • le concessioni balneari sono un’eccezione al principio di fruizione pubblica e non possono ostacolare il diritto di accesso al mare;
  • gli stabilimenti balneari sono obbligati per legge a consentire il passaggio gratuito alla battigia, anche per la balneazione;
  • non è consentito chiedere un pagamento per l’accesso alla spiaggia libera e per il transito verso il mare.

Ne consegue che non ci sono altre vie interpretative: l’accesso al mare è un diritto della collettività.

La decisione della Cassazione: impedire l’accesso al mare è un reato

Per la Cassazione, il ricorso avverso la decisione del Tribunale del Riesame non meritava accoglimento.

Infatti, il reato di cui all’art. 633 c.p. sussiste anche qualora il soggetto, pur autorizzato dall’ente pubblico, utilizzi l’area disponibile, a seguito di concessione balneare, con modalità difformi dal provvedimento amministrativo.

La rilevanza penale della condotta si riscontra, pertanto, anche laddove il concessionario di una strada pubblica ne impedisca l’uso collettivo, riservandone la fruizione esclusiva, in violazione delle disposizioni nazionali che garantiscono il libero accesso al mare.

Smart City e accesso al mare

In un’epoca contemporanea caratterizzata dall’essere “sempre di corsa”, le città devono necessariamente adottare un piano di organizzazione dell’urbanistica che garantisca lo sviluppo di zone in cui una persona possa sentirsi immersa nella natura.

Un luogo, in città, dove potersi sentire fuori dal contesto urbano.

I cittadini che vivono in prossimità del mare hanno spesso l’occasione di rifugiarsi in riva al mare e “staccare la spina”.

Questo diritto non può essere compresso da logiche utilitaristiche di matrice economica che sottendono una concessione balneare.

Un concessionario balneare ben può tutelare la propria attività, ma di certo non può impedire a chiunque di raggiungere la riva della spiaggia per godersi qualche attimo di pace.

E i Comuni devono vigilare che ciò non avvenga!

Filippo Bisanti