Whistleblowing e tutela dei lavoratori nelle P.A., il caso della Polizia Locale

Whistleblowing e tutela dei lavoratori nelle P.A., il caso della Polizia Locale

La sentenza del Tribunale di Bergamo (Sezione Lavoro) del 06 novembre 2025 affronta una vicenda emblematica di whistleblowing e ritorsioni subite da un’agente di Polizia Locale.

Si evidenziano le responsabilità dell’Amministrazione Pubblica locale per la creazione e il mantenimento di un ambiente di lavoro nocivo e stressogeno.

Il Tribunale ha confermato la nullità delle misure ritorsive adottate in seguito alle segnalazioni di irregolarità.

Inoltre, ha condannato l’ente al risarcimento del danno morale, pur escludendo il mobbing per assenza di un intento persecutorio unitario.

Il caso solleva riflessioni sulla gestione delle segnalazioni e la cultura della legalità negli enti locali.

Qualifica di “whistleblower” e ritorsioni illegittime

Il Tribunale ha riconosciuto la ricorrente, agente di Polizia Locale, quale whistleblower. 

Le sue segnalazioni, effettuate all’ente di appartenenza e all’ANAC, riguardavano irregolarità nell’erogazione di buoni pasto, indennità di turno e permessi studio, nonché altre presunte irregolarità gestionali denunciate alla Guardia di Finanza.

Tali denunce rientravano pienamente nel perimetro di tutela previsto dall’art. 54-bis del d.lgs. n. 165/2001 (applicabile ratione temporis).

In seguito a tali segnalazioni, l’agente ha lamentato una serie di atti ritorsivi. 

Il Tribunale ha dichiarato la nullità delle seguenti misure adottate dall’ente, non avendo l’amministrazione fornito prova che fossero motivate da ragioni estranee alle denunce:

  • due procedimenti disciplinari risultati infondati (poi archiviati);

  • l’assegnazione all’ufficio notifiche e accertamenti anagrafici, configurando un demansionamento di fatto e ostacolando lo svolgimento dei compiti;

  • una valutazione professionale insufficiente per l’anno 2020 (58/100), in netto contrasto con le valutazioni positive ricevute negli anni precedenti.

È stato invece escluso l’atto di ritiro dell’arma di servizio, in quanto giustificato dalla richiesta della stessa ricorrente di temporaneo esonero dall’addestramento al poligono per motivi di salute.

Riconoscimento di ambiente di lavoro “nocivo” (art. 2087 c.c.)

Pur non ravvisando gli elementi costitutivi del mobbing in senso stretto (per l’assenza di un provato intento persecutorio unitario), il Tribunale ha accertato l’esistenza di un ambiente di lavoro nocivo e stressogeno.

L’istruttoria ha confermato l’esistenza di condotte ostili, denigratorie e intimidatorie, perpetrate dal superiore gerarchico e da altri colleghi in risposta alle segnalazioni.

L’ente datore di lavoro è stato ritenuto responsabile per aver violato l’art. 2087 c.c. (obbligo di sicurezza).

La responsabilità in qualità di datore di lavoro è stata fondata sulla colpa.

E ciò per aver consentito il mantenimento di tale clima ostile e per non aver adottato le misure necessarie a prevenirlo e tutelare la dipendente, nonostante la notorietà dei fatti nell’ambiente lavorativo.

Risarcimento del danno morale

Il Tribunale ha rigettato la richiesta di risarcimento per danno biologico e danno esistenziale (ritenuto non distinguibile dal danno biologico), basandosi sulla CTU che ha escluso patologie psichiatriche o psicologiche certificate e causalmente connesse alle condotte datoriali.

È stato invece riconosciuto e liquidato il danno morale.

Tale danno è stato identificato come l’intensa sofferenza soggettiva (paura, disperazione, disistima di sé, umiliazione).

La ricorrente l’ha provata per quasi tre anni a causa delle condotte vessatorie e dell’ostilità manifestata dai colleghi.

Il Tribunale ha condannato l’ente al pagamento di Euro 25.000,00 a titolo di risarcimento del danno morale e del demansionamento, liquidato in via equitativa.

Implicazioni per la governance della smart city

Questa sentenza rappresenta un monito significativo per la gestione delle risorse umane nelle amministrazioni che guidano le iniziative di smart city.

  • Necessità di protocolli robusti: le amministrazioni locali devono implementare protocolli di whistleblowing non solo formali, ma culturalmente supportati, garantendo l’assoluta riservatezza e l’immunità del segnalante da qualsiasi forma di ritorsione.

  • Tutela ambientale datoriale: la vicenda ribadisce l’obbligo del datore di lavoro pubblico (Art. 2087 c.c.) di garantire un ambiente di lavoro sicuro, non solo fisicamente ma anche psicologicamente, intervenendo attivamente per eliminare i focolai di stress e ostilità.

  • Responsabilità dirigenziale: la responsabilità per un clima nocivo ricade sull’ente, anche in assenza di conoscenza diretta dei vertici, se la situazione è palesemente diffusa nell’ambiente di lavoro.

Una smart city non può prescindere da una smart governance basata sulla legalità, la trasparenza e la tutela dei propri dipendenti che segnalano illeciti.