Sindaco "social", il Garante fissa limiti tra social network e privacy

Sindaco “social”, il Garante fissa limiti tra social network e privacy

Una sentenza della Corte di Cassazione (n. 34224 del 27 dicembre 2025) chiarisce che la pubblicazione di immagini e video su profili personali, anche se finalizzata a scopi politici o di cronaca, deve rispettare rigorosamente il Codice della Privacy e le regole deontologiche, specialmente a tutela dei minori.

Nella gestione delle moderne città intelligenti, la comunicazione digitale tra amministrazione e cittadinanza è diventata un pilastro fondamentale.

Tuttavia, l’uso dei social network da parte dei decisori pubblici solleva questioni cruciali sulla linea di confine tra trasparenza, propaganda politica e protezione dei dati personali.

La I Sezione Civile della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 34224 pubblicata il 27 dicembre 2025, ha gettato nuova luce su questo equilibrio, accogliendo il ricorso del Garante per la Protezione dei Dati Personali contro l’ex sindaco di Messina.

Il caso, video “in chiaro” e tutela dei fragili

La vicenda origina da un provvedimento del Garante del 2021, che aveva sanzionato l’allora Sindaco con una multa di 50.000 euro.

Le contestazioni riguardavano la diffusione sulla pagina Facebook del Sindaco di video e immagini che rendevano identificabili soggetti in condizioni di fragilità economico-sociale e, ancor più gravemente, dei minorenni.

In particolare, erano stati pubblicati filmati di persone accampate a terra durante uno sgombero e dettagli sensibili sulla salute di una bambina, oltre a immagini di un ragazzo disabile associate a toni offensivi verso i dipendenti comunali.

Il Garante ha ritenuto tali diffusioni prive di un “interesse pubblico o sociale rilevante” che ne giustificasse l’identificabilità.

Profilo personale vs canale istituzionale

Uno dei punti cardine della sentenza riguarda la natura del canale utilizzato.

La difesa sosteneva che le pubblicazioni fossero avvenute nell’esercizio di un compito di interesse pubblico.

La Cassazione ha però ribadito che:

  • le pubblicazioni non sono avvenute tramite i canali social istituzionali regolati dalla legge n. 150/2000, bensì sul profilo Facebook personale del Sindaco,
  • non esisteva un atto amministrativo formale dell’ente (il Comune) che autorizzasse tale trattamento dati, escludendo così l’immedesimazione organica tra il Comune e l’autore del post,
  • il trattamento dati per “interesse pubblico” (ex art. 6 GDPR) richiede sempre una base giuridica certa (legge o regolamento), qui assente.

La manifestazione del pensiero e le regole deontologiche

La Corte ha chiarito che, quando un amministratore pubblica contenuti sui propri social, agisce nell’ambito della libera manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.) e non necessariamente nell’esercizio di pubblici poteri.

Ciò significa che si applicano le deroghe previste per l’attività giornalistica e la diffusione occasionale di pensiero (artt. 136 e 137 Codice Privacy), che però impongono il rispetto della dignità delle persone e della essenzialità dell’informazione.

La sentenza sottolinea che chiunque diffonda dati personali sui social, anche occasionalmente, è tenuto a rispettare le regole deontologiche e la Carta di Treviso a tutela dei minori, il cui diritto alla riservatezza è sempre primario rispetto al diritto di critica o di cronaca.

Sindaci social

Per le città che aspirano a essere “smart”, la lezione è chiara: la digitalizzazione della comunicazione politica non può prescindere dal rispetto dei diritti fondamentali.

L’efficacia di un post o la rapidità del web non giustificano l’esposizione mediatica di soggetti vulnerabili o minori senza una reale necessità pubblica.

La sentenza della Cassazione rappresenta un monito per tutti i “sindaci social”: la rete non è una zona franca, ma uno spazio dove la tutela della privacy deve restare un valore inviolabile.