Cibo “sostenibile” nella smart city

Cibo “sostenibile” nella smart city

“Smart city” è un termine che viene quasi sempre associato al concetto di tecnologia, e all’interconnessione delle informazioni. Ma come possiamo gestire le necessità alimentari dei suoi abitanti?

La geopolitica influisce sugli approvvigionamenti di cibo

Ce ne siamo già accorti con il Covid, e poi con i recenti fatti del conflitto russo-ucraino: dall’impossibilità di far circolare le merci derivano problemi di approvvigionamento per i paesi importatori, un aumento generale dei prezzi, e impossibilità per le fasce meno abbienti di accedere al cibo.

Nel periodo 2022/2023 la produzione di cereali dell’Ucraina è diminuita del 29% rispetto l’anno precedente, ed è stato previsto che diminuisca ulteriormente.

Le azioni di politica internazionale hanno permesso (almeno in parte) di far proseguire le esportazioni tramite l’adozione di nuove rotte commerciali e corridoi umanitari, e per un certo periodo di tempo anche con l’“accordo sulle esportazioni dal Mar Nero”, attualmente sospeso a causa delle vicende politico-militari.

Conseguenze per il terzo mondo… ma non solo

Paesi come Indonesia, Filippine, Bangladesh, Egitto, Marocco e Tunisia, ma anche Italia, Spagna e hanno e devono fare i conti con la minor disponibilità di grano e prodotti oleosi. Nel frattempo, alcuni paesi dell’Unione, limitrofi all’Ucraina, hanno lamentato un danno alle rispettive economie locali in quanto il surplus dovuto alle merci provenienti da quest’ultimo paese hanno svalutato la produzione nazionale, e hanno richiesto alla Commissione l’estensione del divieto di vendita di grano, mais, colza e semi di girasole provenienti dall’Ucraina.

Già nel 2016, durante il proprio intervento al Programma Alimentare Mondiale indetto dalla FAO, Papa Francesco aveva denunciato la strumentalizzazione del cibo come arma di guerra, e di come il consumismo ci abbia indotti all’abitudine del superfluo e dello spreco quotidiano di cibo, che va oltre i meri parametri economici. Ma a più di cinque anni le dinamiche continuano a sembrare le medesime.

Al fattore geopolitico si accostano anche clima e sostenibilità del cibo che mettiamo a tavola

In questi anni è diventato sempre più evidente ed innegabile che il clima sta cambiando. Nel 2022 lSTAT ha stimato un andamento complessivamente negativo per tutto il settore primario, con un aumento dei prezzi su tutta la filiera. Queste sono le principali conseguenze dell’alternarsi di lunghi periodi di siccità ad improvvise “bombe d’acqua”, come evidenzia Coldiretti.

La garanzia degli approvvigionamenti e lotta allo spreco sembrano essere i concetti chiave che dovrebbero essere tenuti in considerazione quando parliamo sia di smart city, che di urbanizzazione tradizionale.

Ma oltre al clima esistono due ulteriori elementi di cui tener conto nella realizzazione di una smart city: quella di essere sostenibili, non solo nelle quantità e nei prezzi, ma anche nella qualità, sia organolettica, che sociale.

Gli Stati Uniti d’America, uno dei più grandi paesi industrializzati, stanno affrontando in questi anni non solo problemi di spreco alimentare, ma anche di un crescente trend di obesità, che dura da decenni. Le fasce più povere si ritrovano paradossalmente a non poter mangiare cibo “sano”, in quanto i contesti urbani e di reddito portano all’impossibilità di potersi permettere o reperire cibi salutari (c.d. food desert), potendosi soltanto affidare alle catene di ristoranti che forniscono cibi processati, ricchi di zuccheri, grassi e calorie, ma non del resto degli altri micronutrienti necessari per avere un’alimentazione sana.

Vi è poi il problema legato alle importazioni di cibi provenienti da stati esteri: quello della sicurezza sulla salubrità del cibo (indicata con il termine food safety, che viene contrapposto a quello della food security, utilizzato per garantire gli approvvigionamenti).

Nel solo 2022, ad esempio, in Italia si è registrato un aumento dell’86% di riso proveniente dall’Asia, ma in tali paesi viene anfora fatto uso di pesticidi come il triciclazolo, il cui utilizzo nell’Unione Europea è stato bandito dal 2016.

E come non bastasse, nel settore agricolo ancora è presente la piaga del caporalato, fenomeno che in Italia è penalmente represso da una decina di anni tramite l’articolo 603-bis “Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”, ma il cui fenomeno è presente anche nel resto d’Europa, come evidenziato dall’Associazione Terra! nel Rapporto E(U)xploitation.

A cosa deve mirare la smart city in tema di food security? Le Buone Prassi del Progetto Smart Cities for Development

In un quadro così delineato, appare sconfortante porsi la domanda “a quale sostenibilità vogliamo ambire?”. Alcuni buoni spunti per la città del domani possono tuttavia essere ritrovati nelle iniziative intraprese dall’Unione Europea, in particolare nel Progetto Smart Cities for Development, conclusosi nel 2016.

Da questa iniziativa è già passato più di un lustro; il contesto economico-sociale è mutato rispetto a quello odierno, ma alcune delle iniziative contenute in questo progetto hanno lasciato il segno, e rimangono tutt’ora uno spunto per progettare una città che si approcci al cibo non solo in un modo “smart” dal punto di vista tecnologico, ma anche sociale e culturale.

Una delle caratteristiche principali di questo progetto è stata quella di realizzare delle sinergie tra i diversi attori del sistema alimentare urbano. Focus importante è stato posto sulla produzione agricola locale, sulla necessità di coinvolgere le autorità locali nei rapporti con gli agricoltori, e sull’ importanza di far incontrare questo tipo di domanda e offerta sulla base di un approccio equo-solidale. A questi aspetti si è associata l’importanza di realizzare spazi dedicati alla coltivazione del cibo anche in aree urbane, e la sensibilizzazione del pubblico rispetto all’importanza del cibo e della trasparenza legata sulla sua provenienza, e distribuzione.

Nell’ambito di questo progetto sono state inoltre organizzate molte iniziative dedicate al pubblico, tra cui manifestazioni agro-alimentari, conferenze, flash-mob e performance di strada per sensibilizzare la popolazione – consumatori finali – sull’importanza degli alimenti sani, eticamente sostenibili, e di un consumo responsabile.

A conclusione, delle esperienze maturate nell’ambito di questo progetto, che ha coinvolto Belgio, Francia, Grecia, Olanda, Spagna ed Italia, è stato realizzato un documento di buone prassi denominato “Food Smart Cities for Development Recommendations and Good Practices”, all’interno del quale sono state descritte le tre raccomandazioni che dovrebbero rappresentare la dorsale della progettazione di una smart city che sia attenta al lato degli approvvigionamenti alimentari.

Il documento è disponibile al seguente link:

http://www.comune.torino.it/cooperazioneinternazionale/fscfd/pdf/FSC4D-Recommendation-and-good-practices.pdf

1 – Migliorare la gestione del cibo e rafforzare i legami con la società

L’accesso a viveri sicuri e altrettanto nutrienti è un diritto fondamentale dell’uomo, e per tale motivo la catena degli approvvigionamenti ricopre un ruolo fondamentale nell’economia europea. Essa rappresenta una fonte di impiego e di crescita economica nelle aree rurali, e i cittadini europei hanno diritto ad un sistema alimentare che sia ambientalmente sostenibile e giusto verso le persone; l’informazione sulla provenienza del cibo diviene fondamentale per poter fare una scelta ponderata ed etica.

Le autorità locali dovrebbero riconoscere il diritto al cibo nei propri statuti ed incentivare iniziative per aumentare la domanda di cibo locale ed equo-solidale, stabilendo anche strategie pubblico-privato con i supermercati e banchi alimentari, per assicurare che gli standard di igiene alimentare non siano limitati alle città, e contribuire alla riduzione degli sprechi alimentari.

Bisogna garantire una logistica che sia capace di garantire una catena di fornitura sufficiente nelle zone urbane e suburbane (così da prevenire i food desert) ed aumentare la consapevolezza dei consumatori per i prodotti sostenibili, oltre a cogliere i bisogni e le culture alimentari dei gruppi più emarginati e vulnerabili, prendendo in considerazione i cambiamenti nell’evoluzione della vita alimentare, e approcci al cibo da parte di fasce deboli come giovami, donne e migranti.

2 – Il commercio equo-solidale come strumento per valorizzare il consumo responsabile e consapevole

Il commercio equo-solidale rappresenta la base per connettere i produttori e i consumatori, informando i cittadini sui bisogni per una giustizia sociale.

Le cittadinanze dovrebbero essere coinvolte in tali processi, e le autorità locali possono sviluppare il commercio equo-solidale, contribuendo ad una riforma più ampia della normativa alimentare per raggiungere l’obiettivo finale di un mondo giusto, equo e sostenibile. Ad esempio, adottando politiche di sensibilizzazione per evidenziare le interdipendenze tra le varie nazioni nella produzione del cibo, garantire al commercio solidale un ruolo nelle politiche di sviluppo, o assistere le aziende locali nella scelta degli approvvigionamenti provenienti da aziende equo-solidali e porre l’attenzione su questioni come diritti dei lavoratori, resilienza economica locale e sviluppo sostenibile.

3 – Favorire la cooperazione decentrata per affrontare questioni globali a livello locale

Le politiche alimentari urbane e la cooperazione decentrata condividono metodologie ed approcci. Esse dovrebbero focalizzarsi su obiettivi di contrasto all’obesità, riduzione della fame nel mondo, esistenza di diritti fondamentali comuni a tutte le persone, turismo sostenibile, e mercati locali, anche tramite sensibilizzazione a mezzo radiofoniche, giornalistiche, cinematografiche e tramite internet.

Come abbiamo visto, tre possono essere le principali aree sulle quali una smart city dovrebbe focalizzarsi: una sicurezza alimentare capace di dare approvvigionamenti a livello locale di un cibo sano, che consenta di ridurre la dipendenza dalle importazioni esterne; una sostenibilità ambientale capace di promuovere l’uso efficiente delle risorse idriche e ridurre gli sprechi alimentari, e al tempo stesso la garanzia delle persone coinvolte nel processo di produzione; un coinvolgimento delle comunità per promuovere attività quali orti urbani, mercati locali, e progetti di condivisione del cibo.

Quali minacce per un progetto di smart city incentrato sugli approvvigionamenti alimentari?

Ma per quanto si possa ragionare su questi nobili propositi, bisogna tener conto delle possibili criticità che potrebbero ostacolare la corretta realizzazione di questi progetti, quali costi troppo elevati da sostenere in capo al consumatore finale, che potrebbero limitare l’accesso delle fasce più vulnerabili ad un cibo sano e sostenibile. O ancora un mancato coordinamento tra i vari attori che richiedono di essere coinvolti, sia per mancanza di personale specializzato e competente, che per la presenza di conflitti di interessi contrapposti agli obiettivi di tali progetti.

Le possibili conseguenze da questi fenomeni sono quelli di non ottenere un risultato finale soddisfacente, e aver speso in modo poco efficace le sovvenzioni pubbliche.

Fenomeni quali geen-washing e social-washing rischiano di minare ulteriormente la fiducia dei consumatori, in quanto un conto è fare una dichiarazione di intenti, e un altro è comportarsi di conseguenza. Specialmente se le azioni da intraprendere non sono allineate con il modello di business o di ideologia politica.

Quali tecnologie possono favorire una smart city alimentare?

Dal punto di vista operativo, le tecnologie che potrebbero venire in soccorso per permettere lo sviluppo di una smart city orientata anche ad un’alimentazione sostenibile potrebbero essere rappresentate da uno sviluppo dei sistemi di consegna capaci di migliorare l’accesso al cibo fresco e sano, comprese opzioni di consegna a domicilio per quanto riguarda i luoghi meno urbanizzati, come le frazioni di paese.

Armadietti per il ritiro della spesa fatta su internet, dotati di sistemi di refrigerazione, potrebbero essere collocati in punti strategici dei paesi per evitare che gli abitanti debbano percorrere chilometri in macchina per raggiungere gli esercizi commerciali presenti negli altri centri abitati.

Sviluppi di modelli di accesso al cibo potrebbero inoltre ridurre sprechi alimentari dovuti al fatto che produttori, grossisti, supermercati e ristoratori devono – sia per fattore culturale che per fattore normativo – buttare alimenti ancora salubri e commestibili, ma che non verrebbero comunque acquistati.

Iniziative quali l’app Too Good to Go” hanno permesso di creare reti per raccogliere domanda e offerta su alimenti che sarebbero altrimenti andati persi nei cassonetti dell’organico. Meccanismi analoghi possono essere implementati per la donazione dei medesimi.

L’approvvigionamento a chilometro zero potrebbe effettivamente divenire ancora più vicino, se il cibo venisse coltivato in loco. Da una decina di anni esiste un progetto su scala nazionale denominato “Orti Urbani” promosso da Italia Nostra APS che promuove la realizzazione di orti urbani in aree verdi nel rispetto della loro memoria storica.

Oggigiorno abbiamo inoltre le tecnologie per produrre il cibo “al chiuso”, facendo ricorso a culture idroponiche o areoponiche, che potrebbero rappresentare una garanzia di approvvigionamento rispetto ai fenomeni di siccità e piogge torrenziali che puntualmente devastano i raccolti tradizionali.

La tecnologia della blockchain può essere inoltre integrata per verificare la filiera del cibo che siamo intenzionati ad acquistare, ed effettuare una scelta consapevole, e non basata esclusivamente sulla presenza o meno di un’etichetta “bio” o “equo-solidale”.

L’utilizzo di queste tecnologie, tuttavia si basa in buona parte sulla possibilità di potersi interfacciare con internet. Per tale motivo è fondamentale pensare fin dalla loro progettazione a come coinvolgere ed includere le fasce più deboli della popolazione, perché in assenza di un modo per accedere alle app/siti, e ancor più soprattutto in assenza di un’educazione digitale, il paradosso di aumentare ancora di più l’emarginazione di questi ultimi è dietro l’angolo.

Giulio Ellese