Città più pulite col “nuovo” reato di abbandono di rifiuti?

Città più pulite col “nuovo” reato di abbandono di rifiuti?

Ha sollevato non poche perplessità la criminalizzazione dell’abbandono di rifiuti commesso da soggetti privati, sino a poche settimane fa, invece, sanzionato amministrativamente. I dubbi riguardano anche l’impiego dei dibattuti sistemi di videosorveglianza.

L’art. 6-ter della Legge 137/2023, Legge di conversione del Decreto-legge 105/2023, ha modificato l’art. 255 del Testo unico dell’ambiente. La modifica è frutto di un emendamento introdotto nel corso dell’esame referente. Per questo motivo, la novella ha colto un po’ di sorpresa, e anche un po’ impreparati, gli addetti ai lavori.

Di fatto la modifica è semplice e si concretizza in un’opera di penalizzazione dell’abbandono di rifiuti commesso dal privato.

Secondo la precedente versione del Testo unico dell’ambiente, il discrimine era il soggetto che commetteva l’atto di abbandonare o depositare in modo incontrollato rifiuti. Nello specifico, il privato cittadino che si liberava impropriamente dei rifiuti, era soggetto ad una sanzione amministrativa. Diversamente, il titolare di imprese o enti era invece punito con il reato contravvenzionale previsto dai commi 1 e 2 dell’art. 256 del TUA.

Abbandono di rifiuti: l’impianto sanzionatorio

L’abbandono di rifiuti da parte del privato è infatti oggi punito con l’ammenda da mille a diecimila euro, aumentata fino al doppio nel caso di rifiuti pericolosi.

Al nuovo reato contravvenzionale si applica in ogni caso la procedura deflattiva prevista dalla Parte Sesta-bis del D.Lgs. 152/2006. Gli articoli 318-bis e seguenti prevedono per i reati contravvenzionali del TUA la possibilità di estinzione, all’esito del corretto smaltimento dei rifiuti e del pagamento in sede amministrativa di una somma pari ad un quarto del massimo edittale. Nel caso concreto 2500 euro, rispetto ai 600 euro previsti dalla sanzione amministrativa vigente in precedenza, per i rifiuti non pericolosi, il doppio per quelli pericolosi. Tutti i casi per cui non sarà stato individuato il responsabile, dovranno comunque essere oggetto di comunicazione di notizia di reato a carico di ignoti.

Nel Testo unico dell’ambiente – per quanto riguarda i rifiuti – rimane comunque sanzionato amministrativamente l’abbandono di “rifiuti di piccolissime dimensioni”. L’art. 232-bis vieta infatti l’abbandono di mozziconi dei prodotti da fumo, mentre l’art.  232-ter proibisce l’abbandono di piccoli rifiuti, quali scontrini, fazzoletti di carta, e gomme da masticare. La cornice edittale della sanzione, prevista dal comma 1-bis dell’art. 255, è compresa tra trenta e centocinquanta euro. Aumentata fino al doppio nel caso di abbandono di prodotti da fumo.

In particolare, la disposizione, per esplicita previsione dell’art. 232-ter si applica “al fine di preservare il decoro urbano dei centri abitati e per limitare gli impatti negativi derivanti dalla dispersione incontrollata” di piccoli rifiuti.

I trasgressori effettuano il pagamento al comune che, a sua volta, incamera la metà delle somme. Il restante 50% è invece devoluto allo Stato. In ogni caso, i proventi sono destinati all’installazione di contenitori per la raccolta di mozziconi e per campagne di sensibilizzazione.

Anche il Codice della Strada si occupa di abbandono di rifiuti. L’articolo 15 prevede due ipotesi sanzionate amministrativamente: il deposito di rifiuti o l’insudiciamento e l’insozzare gettando rifiuti dai veicoli, sulla strada o sue pertinenze. Le due violazioni mirano alla tutela della circolazione stradale e pertanto concorrono con gli illeciti previsti dal Testo unico dell’ambiente. I proventi in questo caso spettano all’amministrazione alla quale appartiene l’organo accertatore, quindi in caso di accertamento da parte della Polizia locale, spettano al comune.

L’uso di sistemi di videosorveglianza, oggi

Con la penalizzazione dell’abbandono di rifiuti, cosa cambia nell’impiego di sistemi di videosorveglianza per il contrasto di illeciti ambientali?  La risposta è semplice: nulla.

L’uso di videosorveglianza per l’accertamento di reati e violazioni in materia di rifiuti era già stato sdoganato nel 2004, con il provvedimento generale del Garante datato 29 aprile. In particolare il contesto di impiego era limitato al controllo “di aree abusivamente impiegate come discariche di materiali e di sostanze pericolose”. Nel più noto provvedimento 8 aprile 2010, il Garante ha confermato tale linea, ampliandola a illeciti di tipo amministrativo, relativi alle modalità, tipologia e orario di deposito dei rifiuti, la cui violazione è sanzionata amministrativamente. Lo stesso garante fa espresso riferimento all’art. 13 della Legge 689/81 per le attività di accertamento e si riferisce, in modo evidente, a tutti quegli illeciti previsti dalla disciplina locale adottata con regolamenti o ordinanze.

Il Garante, in ogni caso, subordina il ricorso ai sistemi di videosorveglianza al rispetto dei principi di necessità e proporzionalità, celati dietro all’espressione “solo se non risulta possibile, o si riveli non efficace, il ricorso a strumenti e sistemi di controllo alternativi”.

Nel corso degli anni si è via via, diffuso l’impiego di telecamere mobili e ricollocabili, con l’intento di monitorare aree di volta in volta individuate, ma anche di sorprendere i trasgressori, occultando le telecamere. È ormai pacifico che l’impiego di telecamere nascoste e non segnalate con informativa di primo livello sia una pratica non conforme al GDPR. Questa e altre irregolarità sono state spesso oggetto delle censure del Garante.

I regolamenti comunali in materia di rifiuti

Si sono però anche consolidate cattive prassi in materia di disciplina locale della materia. In particolare quella di sovrapporre alla norma nazionale – gli articoli 192 e 255 del D.Lgs. 152/2006 – regolamenti locali che prevedessero identiche ipotesi di illecito, ma con differente trattamento sanzionatorio (generalmente meno afflittivo) e, soprattutto con devoluzione dei proventi ai comuni. Pochi, maledetti e subito.

Tale pratica che esce dalle pieghe dell’articolo 7 del Testo unico degli enti locali, che prevede che i comuni possano adottare regolamenti nelle materie di propria competenza, ha sempre destato qualche perplessità. In particolare laddove le norme locali vanno a incidere sulla disciplina sostanziale, portando a disapplicare una disposizione di rango statale in ragione di una norma regolamentare comunale.

Ma la questione non è nuova. Non emerge oggi, quando l’abbandono di rifiuti da parte del privato diviene reato. Accadeva anche in precedenza, quando era sanzionato amministrativamente dallo stesso TUA. E succedeva per eludere l’applicazione della sanzione prevista dallo stesso Decreto legislativo – i cui proventi spettavano alle province – in virtù di un introito nelle casse comunali. Nella pratica, una contropartita all’innegabile impegno dei comuni al contrasto di tali illeciti.

È bene quindi ricondurre la questione non alla legittimità di impiego dei sistemi di videosorveglianza, piuttosto alla corretta destinazione della norma regolamentare.

Ai comuni, infatti, rimane un comunque ampio margine di intervento con norme regolamentari, poste a presidio della sicurezza urbana, nella sua declinazione attinente al degrado urbano. Si tratta di quell’ampia zona scoperta tra l’abbandono in senso stretto e quello di piccoli rifiuti. Tutti quei comportamenti che non riguardano il rilevante abbandono di rifiuti, ma che si concretizzano in condotte scorrette sotto il profilo del loro conferimento. Quali ad esempio il deposito di rifiuti nei pressi dei cestini o cassonetti pubblici, l’esposizione o il conferimento in modo errato, la mancata separazione delle frazioni della differenziata e così via. Quindi un vasto elenco di condotte che ben possono essere disciplinate e sanzionate dalle norme locali.

Controllo ambientale e finalità del trattamento

Il quadro sanzionatorio in materia di illeciti ambientali, per quanto attiene all’ambito dei rifiuti, è il risultato di un complesso di interventi normativi che prevedono conseguenze di tipo misto. Sanzioni amministrative o illeciti penali, di differente graduazione, in ragione del bene giuridico tutelato e della tipologia di condotta.

È quindi evidente che sotto il profilo delle finalità del trattamento di dati attraverso sistemi di videosorveglianza, non vi è ragione di escludere l’impiego già concesso dal Garante nei provvedimenti del 2004 e del 2010. Di fatto, le finalità perseguite che riguardano sicuramente questioni di sicurezza urbana sotto il profilo della tutela del territorio (nel caso specifico dell’ambiente) e della prevenzione e repressione di illeciti (anche in materia di rifiuti). Tale considerazione fa ritenere che il trattamento debba essere normalmente soggetto alla conformità al GDPR, salvo specifici aspetti ricadenti nella specifica disciplina del D.Lgs. 51/2018.

 

Sarà quindi determinante l’inasprimento sanzionatorio nei confronti degli abbandoni di rifiuti commessi dai privati? La minaccia di un procedimento penale che potrebbe concludersi anche con il pagamento di una somma di 2500 euro sarà sufficiente a scoraggiare i comportamenti incivili di chi abbandona rifiuti? Solo il tempo ci dirà se questa strada ci porterà ad avere città più pulite, senza comunque causare difficoltà agli organi che effettuano i controlli e alle procure della Repubblica.

Gianluca Sivieri