Enforcement Smart Road Obblighi comunali e danni da randagismo secondo la Cassazione Laura Biarella 25 June 2025 News&Trend Sicurezza La sentenza della Corte di Cassazione n. 16788, pubblicata il 23 giugno 2025, offre l’occasione per riflettere sulle responsabilità delle amministrazioni locali in materia di randagismo urbano. Il fenomeno del randagismo In un contesto dove il concetto di “Smart City” implica non solo innovazione tecnologica, ma anche sicurezza e qualità della vita, il fenomeno del randagismo urbano richiede una corretta gestione. Il caso: aggressione e richiesta di risarcimento Tutto prende avvio da un incidente avvenuto nel 2015 in Puglia, quando una donna fu aggredita in strada da un branco di cani randagi, subendo lesioni permanenti. La vittima intentò causa contro il Comune, sostenendo che l’ente non avesse adempiuto agli obblighi di prevenzione previsti dalla normativa regionale (Legge Regionale Puglia n. 12/1995) e dalla legge quadro nazionale n. 281/1991. La causa, dopo un primo rigetto in primo grado e in appello, è approdata in Cassazione. Il focus della questione giuridica risiedeva nel determinare su chi ricada la responsabilità per i danni causati da animali vaganti e in che misura la mancata prevenzione da parte delle autorità competenti possa configurare una colpa giuridicamente rilevante. Randagismo e responsabilità: non tutto è del Comune La Cassazione ha compiuto un’importante ricognizione sul riparto delle competenze tra Comuni e ASL, chiarendo in modo definitivo alcuni principi fondamentali: il Comune non è il soggetto responsabile della cattura dei cani randagi, ma ha solo il compito di gestire i canili comunali, ovvero di accogliere gli animali dopo la cattura; l’obbligo di intervenire direttamente sul territorio per il recupero e il contenimento degli animali spetta ai servizi veterinari delle Aziende Sanitarie Locali (ASL), in forza della normativa nazionale e regionale. Ne consegue che, ai fini risarcitori, il Comune non può essere considerato passivamente legittimato in assenza di una condotta colposa diretta o omissiva, il che lo pone fuori dal perimetro della responsabilità in numerose fattispecie analoghe. L’art. 2043 c.c. come stella polare La responsabilità per i danni causati da cani randagi è inquadrata nel paradigma generale della responsabilità extracontrattuale, di cui all’art. 2043 del Codice Civile. Non si applicano, invece, gli articoli 2051 e 2052 c.c. che presuppongono la custodia o la proprietà dell’animale, condizioni chiaramente inesistenti nel caso di animali randagi. In base a tale principio, chi invoca un risarcimento ha l’onere di dimostrare: una condotta colposa della pubblica amministrazione (omissiva o commissiva); un nesso causale tra tale condotta e il danno subito. Il solo fatto che un cane randagio abbia aggredito una persona non è sufficiente a dimostrare la colpa dell’ente pubblico. Prova e concretizzazione del rischio La Corte si sofferma su due snodi fondamentali: l’onere della prova, l’applicazione della cosiddetta “teoria della concretizzazione del rischio”. La pubblica amministrazione, infatti, è titolare di un’obbligazione di mezzi, non di risultato: deve cioè dimostrare di avere approntato strumenti e risorse congrui per contenere il fenomeno, ma non può garantire l’assenza assoluta di animali vaganti sul territorio. Solo quando il danneggiato dimostri che l’ente non ha adempiuto ai suoi obblighi (es. assenza di personale, piani di cattura inattuati, carenze sistemiche documentate) e che tale omissione abbia determinato il verificarsi del danno, si può fondatamente invocare la responsabilità. È in questa fase che entra in gioco la teoria della concretizzazione del rischio: se si verifica proprio quel rischio che l’obbligo disatteso doveva prevenire (cioè l’aggressione), allora il nesso causale può dirsi presuntivamente provato. Implicazioni per le Smart Cities Nell’ottica di una città intelligente e sostenibile, è indispensabile che le amministrazioni adottino sistemi integrati di monitoraggio del randagismo, investano in strutture di accoglienza adeguate, e collaborino attivamente con i servizi veterinari per garantire tempestività e capillarità degli interventi. Tuttavia, la sentenza ammonisce: l’ente non può essere considerato automaticamente responsabile in caso di incidente. Serve rigore probatorio, anche da parte del cittadino. Questa pronuncia smentisce approcci giurisprudenziali più “automatici” alla responsabilità pubblica, evidenziando l’importanza di equilibrare tutela individuale e ragionevolezza degli obblighi pubblici, soprattutto in ambiti come quello del randagismo, dove la gestione del territorio si interseca con fattori ambientali, sociali e sanitari. Un messaggio chiaro alle Smart Cities del presente e del futuro: la responsabilità non si presume, si dimostra. Anche in mezzo alla strada, quando a mordere è un cane senza nome.